martedì 10 maggio 2011

LA VITA PASSAGGI E STUAZIONI ...RIFLESSIONI DI LUIGI FABBRO

   Il mio primo approdo da prete fu in un  paese del Friuli centrale-VARIANO DI BASILIANO-.Fui inviato come vicario ,in quanto"godevo?"per abitazione di una vecchia casa,oggetto di un lascito dal nome del donatore ,chiamato Bertolini.Con me portai pure i genitori,anziani ed ammalati ;mia madre era cardioapatica,mio padre ,70 anni,un contadino consunto.
.   Il parroco...Vicario mons Luigi.. anziano xchè vecchio per anni e per mentalità,quantunque,nei due anni di permanenza ci si  sia affezzionati,per l'istinto  fisiologico reciproco alla sincerità, che ci relazionava e ci poneva in rapporto con i praticanti...Lui era un duro...incuteva terrore quando occasionalmente si portava in paese..dalle strade tutti si affettavano a rientrare in casa... tutti,per le donne in particolare, riservava richiami rimugginanti o per i mariti o per i figli ed ancor più per le figlie...i suoi insegnamenti erano radicalmente due : ira & avarizia..a suo dire predicava i suoi difetti,che viveva come catene ai piedi...la gente ,a suo modo,lo stimava;lo dimostrò,sopratutto,quando ,nel secondo anno di mia permanenza,fu colpito da ictus cerebrale e ,costretto a letto,mi mandò dal Vescovo ,a portare la richiesta che,avendo dato TUTTO...i vitelli e le mucche della stalla..tutti i raccolti ,frutto delle quarantesime parti dei raccolti agrari(quartese)...il vino della vigna ecc...alSeminario e con i risparmi aveva comperato  a Castellerio(Pagnacco) una collina moreninica con sovrastanti 11 campi friulani,denominata poi "Collina Vicario"...aveva diritto di essere ospitato in seminario a Udine, per la convalescenza...
   Armato di tante giuste rivendicazioni, mi feci ricevere dal Vescovo ,cui illustrai le debite attese ..per tutta risposta mi schiantò....non è il caso di darsi preoccupazione per la colloczazione.... la migliore soluzione era la casa di riposo di S.Vito al Tagliamento...là, avrebbe ricevuto ottime cure ed assistenza..
   .Rientrato con questa fredda e bugiarda risposta,non sapevo, da uomo sincero, come prospettare un tale falso miraggio..entrai in camera bagnato di sudore come un cane da un piovasco..biascicavo parole come un ubbriaco,,per convincerlo che il vescovo a san Vito avrebbe escogitato quanto per lui meglio si addiceva alla guarigione...egli con gli occhi sbarrati ,vitrei,confusi mi guardava disorintato e confuso e mi chiedeva se le mie parole erano sincere come sempre o se stavo cedendo alle bugie del Vescovo...ancor oggi,stretto fra le domande imploranti più verità,che guarigione,mi vergogno di non essermi opposto a quella bugiarda ed ingannevole soluzione...
.Io stesso lo accompagnai con la macchina nella casa di riposo,dove tutte le donne del paese si turnarono per una sincera e grata assistenza..ogni giorno mi recavo in visita per favorire la turnazione delle infermiere improvvisate,ma sincere,,ogni giorno mi chiedeva quando sarebbero iniziate le cure,anche perchè mai un medico l'aveva visitato e si approssimava la festa del Corpus Domini..doveva rientrare per la prima comuniome dei fanciulli..in quello stesso giorno,non essendomi recato alla Casa..lui capì..si alzò e di nascosto si trascinoò fino alle scale...mi scivolato ,,,precipitò a capitomboli fino al pianoro...raccolto e rimesso a letto..visse circa 24 ore..poi spirò.
.   Il giorno della morte dei miei genitori non piansi..e non per mancanza di dolore,ma forte della verità della vita anche quando è straziante...al funerale di D.Vicario piasi come Pietro..avevo collaborarato a tradire un uomo sincero...crebbe di molto la mia disistima verso  gli uomini della istituzione..cominciai un percorso di sfiducia strisciante...che negli anni si consolidò .
.Ancora oggi sono molto confuso..perchè , mi chiedo, quegli uomini che RICEVONO LA PIENEZZA DELLO SPIRITO SANTO DI VERITA..siano partecipi e viventi dello spirito di falsità umana...forse perchè,come dice s.Paolo nella lettera ai Corinti,in essi non trionfi il loro prestigio,ma ,in tanta puerile miseria,traspaia e si renda visibile l'azione del Signore...

mercoledì 4 maggio 2011

Memoria di Don Luigi FABBRO in data 17 settembre 2010

Desidero esprimere per iscritto quanto è avvenuto dal 20 aprile 2010 ad oggi venerdì 17 settembre 2010.

Il giorno 20 aprile incontrai nella sala del consiglio di amministrazione di via aquilegia 16 il consigliere di amministrazione della fondazione dr. Avv. Enrico Leoncini ed ilo presidente del consiglio dei revisori dr. Andrea Stedile.
Fui pregato di ascoltare con attenzione quanto mi avrebbero riferito.
I due professionisti avendo avuto dei segnali contraddittori da parte delle gestioni operate dal consigliere di amministrazione rag. Franco Marti Pirelli vollero incontrare l’impresario della cooperativa di edilizia che era impegnata nella costruzione di due complessi a Sappada e di altri lavori in nome e per conto di una società a ciò istituita che poi seppi  chiamarsi società Monte Ferro S.r.l. e della Co.Ge.Fa. S.r.l. .
Lo scrivente era stato convinto dal rag. Franco Pirelli Marti che tutto ciò che risiedeva in Sappada era stato allineato; tale convinzione scaturiva da una acclarata affermazione dello stesso ragioniere nel quale il sottoscritto riponeva fiducia e pertanto accettava l’affermazione senza chiedere contropartita di prove.
I due che incontrai il giorno 20 aprile mi riferirono un complesso di realtà completamente opposto a quello cui io prestavo fede, e cioè: in Sappada non era stato alienato nulla e varie proprietà erano intestate a varie società di cui poi conobbi denominazione e contenuti, ma che comunque facevano riferimento alla Fin.Ge.Fa. S.p.A. .
La Fin.Ge.Fa. era stata deliberata dalla fondazione EFA che al tempo dalla istituzione disponeva di una certa liquidità affinché la stessa società, con piccole operazioni di compravendita potesse introitare degli utili economici, in quanto erano venuti meno tutti i contributi regionali per le attività istituzionali; inoltre la stessa società era stata istituita per realizzare degli interventi su beni della fondazione senza di questa comprometterne il nome ed eventuali contraccolpi finanziari.
Della Fin.Ge.Fa., fin dalla data di costituzione, fu nominato dal consiglio di amministrazione della fondazione, presidente il rag. Franco Marti e consiglieri l’avvocato Enrico Leoncini ed il ragioniere XXXXXXXXXXX Dominica.
La società operò conformemente all’oggetto sociale sia in acquisizioni ed alienazioni, sia in ristrutturazioni di immobili dell’ente o acquisiti dall’ente. La stessa società, alla fine di ogni anno formulava, alle date di legge il proprio bilancio accompagnato dalla relazione dei revisori.
Al relatore scrivente fu facile verificare materialmente l’operato della società in quanto gli amministratori godevano la totale fiducia.
La realtà operativa della società Fin.Ge.Fa. perse da parte mia anche il controllo materiale quando operò nell’ambito del comune di Sappada.
L’interesse per cui la società si rivolse verso quel territorio scaturiva dal fallimento della società per azioni Sappada2000 che gestiva le sciovie sul territorio e alle quali la cooperativa Ge.Tur inviava i ragazzi ospitati nel villaggio alpino di Piani di Luzza partecipanti alle settimane bianche .
Per circa duo o tre anni dalla dichiarazione di fallimento la Fin.Ge.Fa. per il tramite di una partecipata srl denominata Tuglia Sci chiese ed ottenne la locazione delle sciovie dal tribunale di Belluno.
Dopo due anni di gestione in affittanza il tribunale si oppose a tale rapporto e evidenziò la necessità che proveniva da parte dei creditori del fallimento dell’acquisto delle sciovie stesse.
Il rag. Franco marti pirelli si recò presso il tribunale per verificare il numero dei partecipanti all’asta senza la volontà di procedere all’acquisizione da pèarte della Tuglia Sci. Non ricordo a quale ora del giorno, ma intarda mattinata, mi fece una comunicazione telefonica nella quale mi riferiva che il presidente incaricate dell’asta non essendosi presentato alcun acquirente ritenevaa di non dover procedere assolumente a nessun tipo di locazione ma di recuperare quanto poteva dalla vendita del mateirale ferroso e di quant’altro di proprietà di Sappada 2000
Il marti mi chiese quale comportamento tenere, se lasciar perdere la realtà o partecipare egli stesso aall’asta. Considerato il costo assai contenuto, benché non fossi in possesso di una delibera appropriata lo autorizzai all’acquisto per il tramite della società tuglia sci.
La sitazione delle attrezzature sportive evidenziata un pessimo stato in quanto la società fallita non aveva provveduto per mancanza di mezzi finanziari all’orindaria manutenzione che ne proseguire del tempo si trasformo in straordinaria in quanto le forniture della corrente elettrica e dell’acqua per l’innevamento artificiale erano inefficienti o in stato talemente precario da rendersi pericolose per gli utilizzatori.
Al tempo il MARTI costituì una ulteriore società per le manutenzioni delle sciovie e la gesitione delle stesse che si denomiò skiprogram srl.
La costituzione di tuglia sci e di skiprogram venne motivada dal presidente per facilitarne quanto prima la rendita e per distinguere in maniera analitica i costi ed i ricavi della gestione.
Di seguito fui infermato che la società tuglia sci procedette all’acquisizione dei rifugi a monte e a valle delle sciovie per ospitare i ragazzi del villaggio per la ristorazione del pranzo ondwe evitare dispersivi e fastidiosi viaggi con navette dal villaggio alle piste; il progetto fu condiviso e, per iltramite di tuglia sci, con finanziamenti della società madre fingeefa, furono acquisiti i rifugi.
Di tutte queste operazioni il sottoscritto ebbe notizia e verifica solo nell’ambito dei bilanci finali.
Dal momento dell’acquisizione di tutto il complesso sportivo sciistico lo scrivente era fortemente convinto di doversene liberare, il più presto possibile, perché una tale attività rivestiva difficoltà di gestione, impegni finanziari e, in ultima istanza, esulava dalle finalità complessive della fondazione, benché l’attività sportiva fosse contemplata nell’amito del turismo sociale.
Il presidente marti sostenne sen perche la vendita, soprattutto nel comparto sportivo di sappada non trovava acquirenti, essendo per un verso confinante con il friuli venezia giulia la cui regione dispone di un’associazione pubblica (Promotour) dotata di notevoli strumenti finanziari per il potenziamento del turismo in friuli, e, dall’atro vero, il comparto era precduto dalle notevoli stazioni sciistiche presenti nelle Dolomiti, tali per cui le sciovie di sappada erano meno che una cenerentola.
La tesi del presidente marti, sotto la pressione a vendere del sottoscritto, era che tale finalità si poteva raggiungere solo coinvolgendo l’interesse di finanziatori che potessero ricavarne un’utilità sul territorio.
Venne illustrata dallo stesso presidente al consiglio l’occasione che offriva il comune di sappada di riqualificazione ambientale di alcune proprietà comunali, cui avrebbe pottuto acccedere attraverso la partecipazione a delle aste che il comune stesso poneva in essere, piani che si definiscono PIRUEA (piani di riqualificazione urbanistica e ambientale).
Seppe che il presidente partecipò all’asta attraverso la società tugliasci che contestualemente l’offerta finanziaria che egli fece riuscì vincente.
Da questa informazione a tutti gli sviluppi successi il sottoscritto non conserva informazioni né puntuali né analitiche in merito salvo che un giorno – no ricordo esattamente la data – lo stesso presidente affermò che i terreni acquisiti avevano permesse l’interesse di una grossa azienda che avrebbe acquisito,contestualmente, anche le strutture e che in effetti,a dire del rag. Marti le acquisì
Il sottoscritto, da quella notizia, per ben tre anni, fino al 20 aprile 2010, visse nella certezza che a sappada le società partecipate da Fin.Ge.Fa. erano pure partecipate in percentuale di maggioranza anche da questa azienda investitrice e che quindi la responsabilità amministrativa ed economica di tutta la realtà sabbadina veniva ridotta e tornava marginale.
La ragione della informazione non corretta data al sottoscritto ancor oggi non è acclarata.
Per ammissione dello stesso presidente di Fin.Ge.Fa. quando dal sottoscritto fu chiamato a rispondere di  tutto l’operato in sappada fino alla data della comunicazione ma soprattutto di quanto lo stesso operò dopo quella informazion, egli stesso, per pubblica ammissione, dichiarò di aver tradito la fiducia del presidente con una affermazione falsa.
Il sottoscritto per conoscere i termini esatti di carattere patrimoniale e contabile della situazione sabbadina e di tutte le società di cui venni a conoscenza attraverso una vera spremitura informativa nei confronti del rag. Marti incaricò una professionista di operare in modo analitico su tutta la situazione contabile nell’ambito della sede delle società in via moretti. La professionista incaricata fu la dott.ssa daniela lucca che esibì, dopo circa dieci giorni, un estratto contabile puntuale su tutta la situazione.
Da quell’analisi venni a conoscenza che l’ammontare dei debiti complessivo di tutte le spcietà era di circa 41 milioni di euro e che l’ammontare del valore dei beni patrimoniali era di circa 45 milioni, incluso il valore delle sciovie. Chiaramente le sciovie restavano nel comparto immobiliare l’anello debole in quanto difficilmente alineabile e quindi detratto il valore delle piste delle sciovie, riportato ad un valori di circa 17-18 milioni, residuava un passivo finanziario di circa 24 milioni.
Tale passivo era costituito da debiti a breve termine nei confronti di ditte che avevano operato sul patrimonio e di debiti a lungo termine costituiti da mutui o leasing garantiti dalla spa Fin.Ge.Fa..
Il debito più pressante proveniva da finanziamenti operati dalla banca cooperativa di cividale, la quale cnvocò il sottoscritto e ne evidenziò l’urgenza del rientro finanziario motivato dalla presenza nella banca stessa di un’ispezione da parte della Banca d’Italia.
La banca di cividale deteneva, da parte della fondazione , una lettera di patronage, che, a parere degli ispettori della banca d’italia non era garanzia sufficiente e pertanto richiedeva che la stessa fondazione proprietaria di beni immobili terreni ed edifici, procedesse, attraverso un mutuo con la stessa banca.
Lo scrivente contrastò per almeno due mesi tale voolontà della banca di cividale sotenendo che essendo la fondazione nell’impossibilità di soddisfare la richiesta di sollecito rientro o di accesso alla mutualità finanziaria, offriva all’istituto di credito l’opportunità di accendere un mutuo con la cooperative di gestioni turistiche ed assistenziali (GeTur) unica realtà operativa in grado di poter soddisfare in un lasso di tempo ventennale il rientro.
Nelle more delle trattative fra la banca e la fondazione, il direttore della banca di cividale, assieme all’avv. della banca fabbro federico e al pres. del collegio sindacale della banca dr. Stedile, convocò nello studio di quest’ultimo alcuni consiglieri della fondazione, e precisamente il dr. Giuseppe Bertoli, il dr. Avv. Gabriele damiani ed il dr. Avv. Enrico Leoncini assieme allo scrivente affinché fosse accolta la richiesta della banca evidenziando come gli ispettori della banca d’italia volevano che l’impegno fosse a carico diretto della fondazione e di nessun altro. Nell’ambito dell’incontro il sottoscritto continuò a battersi contro la soluzione esigita  dai rappresentanti della banca mentre i consiglieri su nominati dettero il loro consenso affinché si procedesse in conformità al desiderio dell’ist. Di credito.
Il sottoscritto per disapprovare la decisione che i rappresentanti stavano per prendere uscì dalla sala in modo dirompente e si allontanò rientrando al proprioo domicilio.
Nell’accosiane dell’adunanza del consigli di amministrazione della fondazione fu presa la delibera di accedere all’acquisto del debito di Fin.Ge.Fa. e si dette l’avvio alla stipula del mutuo per l’importo di 20 milioni di euro a cui la banca dette disponibilità per ulteriori 2 milioni di finanziamento.
 Alla data in cui questo consiglio avveniva, il rag. Franco marti pirelli era assente in quanto era stato richiesto dal consiglio l’obbligo di dare, seduta stante, le dimissioni da tutte le società e dalla stessa fondazione; dimissioni che furono espresse una di seguito all’altra e che furono precedute dalla dichiarazione del trattamento scorretto, in quanto falso,con cui si era rapportato con il sottoscritto e di cui si doleva, disponendosi però a collaborare al ripianamento dei debiti mettendo a disposizione anche beni propri.
Da quella seduta il rag. Pirelli marti ovviamente fatto oggetto di giudizio estremamente negativo per la scorrettezza del suo operato venne allontanato e diffidato di potersi ancora interessare, per qualsiasi verso, della sua amministrazione, dei beni amministrati e dei rapporti finanziari con debitori e creditori in essere.
Il parere dello scrivente, nei confronti del consiglio nel merito delle dimissioni istantanee, non era condiviso, in quanto dichiarò che il rag. Marti doveva restare in consiglio, assumersi tutte le sue responsabilità, provvedere alla soluzione delle gravi problematiche poste in essere, anche con la compromissione dei suoi  beni personali e intravedeva nelle dimissioni una deresponsabilizzazione quanto mai facilitante da parte sua, lasciando il consiglio in un ginepraio di problematiche che solo con il suo concorso conoscitivo, delle persone, delle ditte, delle realtà immobiliari delle gestioni potevano essere più correttamente e velocemente risolte.
Il sottoscritto alla stregua delle informazioni che provenivano anche dal rag. Marti ma  soprattutto del soddisfacimento dell’obbligo debitorio degli aventi causa elaboro un primo piano per il ripianamento della situazione debitoria, suddividendo gli impegni fra debiti a breve e a lungo termine. Detto piano sottoposto al consiglio di amministrazione della fondazione che, motivando la sua posizione nel merito del pagamento dei debiti con una più approfondita conoscenza della realtà deliberò che non si potesse procedere al pagamento di alcun obbligo finanziario.
Il sottoscritto tergiversò con i creditori prospettando di avere circa 4 +2 milioni euro disponibili presso la banca di cividale e, sottopsto a pressioni continue e forti dei creditori elaborò un secondo piano di appianamento dei debiti a breve termine.
Il consiglio idi amministrazione della fondazione per la seconda volta rifiutò tale piano e si attestò sul ‘bisogno di conoscere’ mentre lo scrivente sosteneva che l’una cosa, pagare i debiti, e l’atra, approfondire la conoscenza, non si opponevano, ma, per la situazione in essere, si poteva procedere ada subito a soddisfare queoi creditori che minacciavano azioni legali.
Sul soddisfacimento del debito a breve si attestò il consigliere leuncini enrico, il consigliere pischiutta marcello, la rappresentante de provveditorato rag. bulfoni ed il sottoscritto; preso atto che la volontà dei quattro consiglieri (dr. Bertoli, dr. Damiani, dr. Cisilino, dr. Verbi)  non lasciavano alcuno spiraglio a tale soluzione, considerata la pressione dilaniante che il sottoscritto subiva tutti i giorni, i tre consiglieri favorevoli, pur essendo consiglieri di diritto, e la sig. bulfuni, seduta stante, dettero le proprie dimissioni.
Dall’accertamenteo di tutta la complessa spinosa materia il sottoscritto in un primo incontro a lignano sabbiadoro delle notizia all’arcivescovo di udine bruno mazzoccato, prospettando allo stesso le soluzioni percorribili ed effettivamente capaci di superare le difficoltà finanziarie.
In successivi due incontri, a distanza di tempo, lo scrivente aggiornò l’arcivescovo della realtà: tali aggiornamenti avvennero fino alla data delle dimissioni da presidente del consiglio di amministrazione  della fondazione, dopodiché il sottoscritto non fu più interpellato dall’arcivescovo.
Tornando ai fatti successi, nell’occasione delle dimissioni del rag. Marti, il sottoscritto fu incaricato pure della presidenza della cooperativa GeTur fino alla convocazione di una nuova assemblea per ratificare il sottoscritto ed altri tre consiglieri dimissionari. Fu convocata nel breve l’assemblea dei soci, venne comunicata agli stessi una lista di eleggibili e, nella stessa assemblea, i membri eletti dettero la delega di presidente al sottoscritto.
Il consiglio di amministrazione della fondazione fu ricostruito nella sua entità statutaria dall’arcivescovo di Udine il quale modificando l’ente opera aiuto friulano nella quale introdusse il potere di revoca da parte sua dei membri di diritto, nominò liberamente altri consiglieri non tenendo in conto alcuno il dettato nell’art. 14/1 e l’art. 8 nel merito dei membri di diritto: si consumò così un dualismo antitetico nei due enti la cui operatività era proceduta per parecchi anni in piena armonia, pur nel rispetto delle singole autonomie.
Ancora facendo un passo indietro nel tempo all’approvazione dei bilanci delle singole società correlate a Fin.Ge.Fa., mi trovai, per tale scopo, a dover assolvere il compito di amministratore unico delle stesse, tenendo come punto fermo  la delibera della fondazione che imponeva di non procedere ad alcun appianamento di debiti, e, pertanto, fino alla data delle dimissioni avvenute il 14 settembre 2010, lo scrivente resse alla continua pressione dei creditori senza procedere ad alcuna operazione amministrativa, benché si fossero presentati parecchi acquirenti dei beni immobili disponibili per la alienazione.
Per chiarezza di comportamento il sottoscritto al fine  di avere informazioni circa pesone, beni crediti e debiti  e quant’altro si rapportò con il rag. Franco pirelli marti, unico conoscitore dell’operato ed anche depositario di tutte le pratiche amministrative, le quali trovavano la sede materiale presso la sede civile delle società.
Nel merito delle pratiche giacenti presso lo studio del rag. Marti, il sottoscritto convocò i tre responsabili (81% getur – 14% EFA – 5% Ass.ne ODA) delle proprietà della società Fin.Ge.Fa. ; il presidente della fondazione non si presentò per deliberare in seduta ordinaria il trasferimento di sede, bensì chiese attraverso lettera  raccomandata di essere fornito di una serie articolata di documentazioni per ogni società.
Per ricavare tale documentazione il sottoscritto dovette ricorrere nuovamente presso lo studio marti perché ivi erano gestite le pratiche stesse.
Parte furono consegnate all’impiegata sandra reccardini il giorno dopo e parte furono trasferite una volta successiva .
La frequentazione con il rag. Marti fu sempre e solo motivata da necessità di conoscenze e di ricerca documentale; con lo stesso, il sottoscritto dichiaraa di non aver intrattenuto alcun rapporto di tipo amministrativo né di aver complottato alcunché ai danni della fondaazione o di altre iniziativa societaria; fatta memoria tuttavia della disponibilità del marti a voler collaborare dall’esterno nel presentare alcune soluzioni a sollievo della onerosa situazione debitoria, ebbe, alla presenza di un suo rappresentante, dott. D’alessandro alcuni incontri finalizzati alla verifica di alcune proposte che il rappresentante del marti e lo stesso sottoponevano al sottoscritto.
L’interpretazione malevola che scaturì da questi necessitanti rapporti con il rag. Marti e con le proposte che lo stesso faceva, sono solo e semplicemente calunniose ed interpretative di una volontà odiosa nei confronti del marti e dell sottoscritto provenienti da ben specifiche persone facenti parte del consiglio di amministrazione della fondazione; detti calunniosi sospetti non trovano il conforto né di prove documentali né di prove fattuali ma sonno e restano solo affermazioni pregiudizievoli di carattere calunnioso in quanto da parte di alcuni membri del CDA della fondazione si è nutrita la certezza che il sottoscritto fosse a conoscenza di tutto l’operato del rag. Marti quando lo stesso pubblicamente affermava che, per almeno tre anni, mi tenne all’oscuro di tutto bonificando i miei quesiti conoscitivi con l’affermazione falso che ’tutto era stato venduto’.

I primi giorni del mese di luglio il sottoscritto, stresato dalle pressioni dei creditori, sotto l’onere della gestione delle attività della cooperativa e continuamente fatto oggetto dei calunniosi sospetti, decise di dimettersi dalle presidenza della cooperativa.
Detta volontà conosciuta dall’arcivescovo per il tramite del dott. Amodio fece sì che lo stesso mi convocò affinché non dessi realizzazione della mia volontà di dimettermi garantendomi piena e totale fiducia nel mio operato.
Fu così che non detti seguito alle dimissioni e continuai la mia attività di presidenza della getur con tutti i molteplici impegni connessi.
La mia attività di presidente proseguì fino al giorno sabato 11 settembre quando, avendo convocato il consigio di amministrazione della cooperativa, fui raggiunto da una comunicazione telefonaci da parte del consigliere tonassi paolo che mi comunicava chee non avrebbe partecipato al consiglio in quanto mi dovevo assolutmanete dimettere e che maggiorni informazioni nel merito mi sarebbero state fornite dal consulente della cooperativa dott. Dino fabris.
Il dott. Fabris raggiunse la sede della cooperativa alle ore 08.15, mi ripetè lo stesso invito alle dimissioni dicvendo che per me era la scelta migliore; alle mie reiterate domande circa la  ragioe di un tanto e il nominativo del richiedente il dr. Fabris disse che non era tenuto a fornirni né le ragioni né il nome del richiedente, evidenziò solamente il fatto la persona era altolocata.
Alle 08.30 si presentò soltanto il consigliere paolo galasso ed il collegio sindacale.
Aprii la seduta dichiarando che pochi minuti prima erano state richieste le mie dimissioni da un personaggio altolocato e che non mi erano state fornite le moitivazizoni di un tanto, il dr. Fabris confermò quanto avevo dichiarato pregandomi di esprimere per iscritto le dimissioni benché il collegio sindacale mi avesse sollecitato a prendere tempo.
Sottoposto ad una richiesta che conteneva una minaccia velata onde evitare il peggio, mi feci premura di sentire il presidente della fondazion e rag. Giancarlo cruder, il quale categoricamente, senza offrirmi spiegazioni, si espresse con quste parole:’se fossi in lei darei subito le dimissioni’ e non aggiunse altro interrompendo la comunicazione.
A minacce velate, aggiunta minaccia espressa, il sottoscritto ddette le proprie dimissioni da presidente e specificando per iscritto che non intendeva dimettersi dalla carica di consigliere.
Dal giorno 11 alla data odierna non fui contattato da alcun consigliere né da latra persona  affinché mi fosse fornita spiegazione della violenta richiesta.
Il giorno lunedì 13 tuttavia in un articolo del giornale Messaggero Veneto con titolazione cubitale, il cui contenuto, a detta della giornalista era stato raccolto in ambiti curali,  si dava notizia che mons. Fabbro luigi era stato rimosso dall’EFA e che ci sarebbero state delle vicissitudini che avrebbero modificato i vertici della getur. Nell’articolo veniva espressa un’accusa specifica, che c’era necessità di chiarezza e che pertanto a breve sarei stato rimosso.
Il giorno martedì 14 fui intervistato dallo stesso giornale dove precisavo che non ero stato rimosso dall’EFA ma che davo le dimissioni per precisi motivi di contrasto con il consiglio circa scelte amministrative e che le gestioni da me direttamente presiedute non avevano ragione di dubbio circa legalità e trasparenza.
Ad oggi venerdì 17 so che il vicepresidente tonassi paolo sta contattando varie persone per non so quale motivo, benché sia venuto a conoscenza che due consiglieri sono stati avvicinati da lui e dal presidente della fondazione sig. Cruder accompagnato da avvocata trevigiano, per ottenerne le dimissioni e il successive rimpiazzo con persone gradite alla fondazione EFA.

Dall’ultimo incontro di luglio  l’arcivescovo non fui più contattato neppure dopo il calunnioso articolo pubblicato dal messaggero.