venerdì 2 aprile 2021

AGGIORNAMENTO 2021

 Tutti gli articoli cui fanno riferimento le pagine di notizie delle testate giornalistiche regionali sono privi di fondamento giuridico e rispecchiano solo articoli di giornali scritti da controparti.

Che siano privi di fondamento giuridico lo dimostra la memoria qui riportata dell'Avv. Giacomo B.




Sul grave errore giudiziario di cui è stato vittima Mons. Luigi Fabbro

a proposito di ODA ente canonico (Opera Diocesana di Assistenza)

 

 

ODA era un ente meramente canonico mai riconosciuto quale persona giuridica civile: difetto di giurisdizione statale

1.- Mons. Luigi Fabbro è stato condannato dal Tribunale Penale di Udine, con sentenza datata 02.10.2014, confermata dalla Corte di Appello di Trieste in data 06.04.2016, e dalla Corte di Cassazione in data 26.04.2017-12.05.2017 per condotte di appropriazione indebita, asseritamente poste in essere nell’anno 2008-2010 e rilevate in “violazione dei fini di cui all’art. 2 dello Statuto dell’ente ODA (Opera Diocesana di Assistenza)”, sul presupposto che egli fosse “Presidente del comitato di garanzia dell’ente canonico ODA” (Cass. pen. II Sezione, sentenza n. 23423 del 26.04.2017-12.05.2017.

Tuttavia:

ODA era tuttavia Fondazione pia meramente canonica, mai iscritta nel registro delle persone giuridiche civili. Difettava, dunque, con assoluta evidenza, la giurisdizione statale su ODA (cfr. Statuto di ODA ente canonico).

La sentenza della Suprema Corte, all’eccezione specifica di difetto di giurisdizione, ha fondato la propria giurisdizione e competenza riconoscendo in ODA una fondazione civile di fatto, dichiarando il seguente principio di diritto: “un ente canonico pubblico che non abbia mai chiesto, o ottenuto, riconoscimento di persona giuridica civile, né il suo statuto sia mai stato depositato presso il pubblico registro delle imprese, va ritenuto un ente di fatto, e come tale soggetto alle regole del cod. civile”.

 

E’ stata ‘creata’ in Sentenza una Fondazione di fatto

2.- E’ anzitutto evidente la carenza di giurisdizione statale e addirittura la violazione della giurisdizione esclusiva ecclesiastica ai sensi del Concordato (cfr. l. 121/85), ed ai sensi dell’art. 7 della Costituzione italiana.

Evidente, inoltre, che non possa esistere una “Fondazione civile di fatto”, sul presupposto dell’esistenza di un ente meramente canonico.

Ognuno sa, difatti, che se può esistere un ente associativo di fatto, ben più complessa è la realtà per le Fondazioni, caratterizzate dalla necessità sia di un negozio fondativo (per atto pubblico), sia di un negozio dotazionale (per atto pubblico per i beni immobili e mobili registrati e per assegni circolari per il capitale iniziale), sia infine l’intuitus o finalizzazione al bene pubblico.

E’ un fatto che né il Codice di Diritto Canonico, né il Codice Civile italiano, menzionino l’istituto della Fondazione di fatto.

Nel caso di specie, inoltre, trattandosi di enti ecclesiastici, vige un regime giuridico caratterizzato da specialità, ed essi possono essere riconosciuti ed esistere nell’ordinamento civile solo ed esclusivamente con il procedimento di riconoscimento previsto dall’Accordo di Villa Madama, di cui alla Legge di derivazione pattizia L. 222/85. 

Ma anche ammesso – e non concesso – che possa esistere una Fondazione di culto - ente ecclesiastico civilmente riconosciuto di fatto, nel caso di specie l’ente solo canonico aveva di fatto cessato di esistere un ventennio prima (1988) dei fatti di causa (2008-2010), così come dimostreremo.

Nella questione sub iudice, dunque, lo Stato ha chiaramente esuberato dalla sua giurisdizione ed è incorso in macroscopici errori di diritto e di fatto.

 

3.- Inoltre, Mons. Luigi Fabbro risulta condannato da una Sentenza dello Stato per condotte in violazione dello Statuto ODA (e dunque per violazione del diritto proprio canonico in materia di amministrazione di beni ecclesiastici), ma l’Ordinario del luogo mai gli ha contestato alcun reato eppure specificamente previsto dal Codice di Diritto Canonico (cfr. can. 1377).

Se egli avesse veramente commesso reati nella amministrazione dei beni ecclesiastici a lui affidati, l’autorità ecclesiastica lo avrebbe dovuto condannare a seguito di un regolare processo penale canonico; circostanza che non si è verificata per insussistenza di fatti delittuosi.

Sussiste dunque un ulteriore paradosso: Mons. Fabbro è stato condannato da una sentenza Statale ma non canonica, per asseriti illeciti commessi nell’esercizio di un ufficio solo canonico, in un ente solo canonico, mai riconosciuto agli affetti civili.

 

Condanna per appropriazione indebita, senza mai aver verificato dai bilanci che le somme appartenessero ad ODA e fossero iscritte a bilancio ODA

4.- Mons. Luigi Fabbro è stato condannato per asserita appropriazione indebita di somme asseritamente di proprietà di ODA, senza che mai i bilanci di ODA, né annuali per gli anni interessati dall’asserito commesso delitto, né di liquidazione finale, siano stati esibiti o depositati in giudizio, per dimostrare che quelle somme appartenessero effettivamente ad ODA ente canonico.

Tale realtà è inoppugnabile: mai in corso di istruttoria sono stati depositati i bilanci di ODA, approvati dal Consiglio affari economici diocesano, riferiti agli anni degli asseriti reati (2008, 2009, 2010). Mons. Luigi Fabbro è stato pertanto condannato sul presupposto che alcune somme fossero di proprietà di ODA, senza che ciò sia mai stato provato attraverso i bilanci ODA.

 

I reati per i quali è stato condannato il Rev. Fabbro in qualità di Presidente ODA si riferiscono ad anni in cui ODA ente canonico era estinto ed il Rev. Fabbro non era più Presidente ODA

5.- ODA ente diocesano fu estinto a partire dall’anno 1988. I fatti per i quali Mons. Fabbro è stato condannato come “Presidente del comitato di garanzia di ODA” si riferiscono agli anni 2008, 2009 e 2010. L’evidente ingiustizia della Sentenza di condanna è incontrovertibile.

Inoltre nello Statuto ODA non esiste il “Comitato di garanzia” di ODA ente canonico. L’organo di governo è stato completamente inventato dalle sentenze statali.

Nel decreto dell’Ordinario diocesano datato 02.09.1987 con il quale si mutava la natura giuridica dell’Ente canonico “Opera Diocesana Assistenza” in Società cooperativa a responsabilità limitata (ente meramente civile, che aveva disecclesiasticizzato i beni di ODA), si chiarisce che la persona giuridico-canonica ODA eretta il 10.11.1954 fosse persona giuridica collegata e funzionalmente dipendente dall’ente ecclesiastico riconosciuto civilmente della Mensa episcopale: “Visto l’art.28 della legge 20 maggio 1985, n. 222 che estingue la Mensa Arcivescovile, Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, cui giuridicamente e civilmente faceva capo l’Opera Diocesana Assistenza...”.

La Mensa arcivescovile venne estinta in forza di disposto della L. 222/85, la quale all’art. 28 stabiliva la contestualità tra l’erezione dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero, e l’estinzione della Mensa episcopale: “Con il decreto di erezione di ciascun Istituto sono contestualmente estinti la mensa vescovile, i benefici ...”. Si tenga conto che la legge citata non imponeva l’immediatezza delle devoluzioni dei beni, tanto che il dettato normativo poneva il termine del 31 dicembre 1989 per l’iscrizione degli Istituti sostentamento clero nel registro delle persone giuridiche (cfr. art. 6, II c. l. 222/1985). E’ dunque congruente che l’Ordinario diocesano abbia provveduto in data 02.09.1987.

Si ribadisca inoltre che ODA era collegata, quanto ad indirizzo ed operatività, anche alla “Pontifica Opera di Assistenza”: ente collocato in un preciso contesto storico, per finalità dunque esaurite, così da causarne la soppressione da parte del Pontefice Paolo VI nel 1970 e la costituzione della Caritas internazionale, nazionale, ed anche diocesana in ogni Chiesa locale (1976 per Udine).

Dal citato decreto datato 02.09.1987 con il quale si muta la natura giuridica di ODA si desume dunque: che l’art. 28 della L. 222/85 avesse estinto la Mensa arcivescovile, che ODA fosse ente giuridicamente e civilmente da questa dipendente, e che pertanto l’estinzione dell’ente sovraordinato comportasse la necessità di integrale ridefinizione giuridica e di devoluzione dei beni di quello sotto ordinato, che in quel contesto normativo e storico non poteva continuare ad esistere neppure di fatto.

 

6.- Il citato decreto episcopale del 02.09.1987 esprime la volontà di mutare la veste giuridica della preesistente persona giuridica meramente canonica ODA, in una integralmente nuova e separata, avente configurazione meramente civile, di Società cooperativa a responsabilità limitata (Scarl): “Ritenuto conveniente e necessario dare all’Ente canonico Opera Diocesana Assistenza una configurazione giuridica civile”.

Al proposito non potrebbe neppure possibile parlarsi di trasformazione, giacché ad ODA ente meramente canonico succedette ODA Soc. coop. a r. l. (Scarl) ente meramente civile, e dunque un altro ente di un altro ordinamento giuridico.

Vengono conferiti tutti i beni, ed anche i fini e lo Statuto: “Considerato che le finalità dell’Opera Diocesana di Assistenza e il relativo Statuto saranno completamente assunti dall’erigenda Società Cooperativa a responsabilità limitata...” (decr. 02.09.1987). La licenza al conferimento venne conseguentemente espressamente concessa con decreto dell’Ordinario diocesano in data 16.3.1988 (cfr. doc. 3) nel quale si dichiara l’assenso al “conferimento dei beni mobili ed autoveicolari di proprietà del rappresentato Ente di Ordinamento Canonico alla Soc. Coop. a r.l. O.D.A.”, ossia di tutti i beni  di cui all’art. 5 dello Statuto.

 

7.- Occorre evidenziare che il conferimento di tutti i beni (“completamente”), peraltro accuratamente inventariati ed elencati possa essere sufficiente ad integrare invero una sostanziale canonica devoluzione totale dei beni di ODA. La devoluzione dei beni è fenomeno previsto esplicitamente dal Diritto Canonico giusto nei casi di fusioni, divisioni, soppressioni, estinzioni (can. 121, 122, 123) di persone giuridiche.

Nel caso specifico vi fu il conferimento di tutti (“completamente”) i beni della persona giuridica canonica fondazionale di cui alla Relazione di stima, svuotando di fatto l’universitas rerum di ODA ente canonico, eliminandone l’essenza costitutiva, impedendone il raggiungimento dei fini, e facendo sì che il complesso patrimoniale non fosse più tale, passando ad un’altra persona giuridica di altro ordinamento giuridico, con un “salto” di giurisdizione, che comportava l’implicita soppressione di ODA-ente canonico.

Il Diritto Canonico, inoltre, informandosi fortemente alla logica finalistica, collega l’esistenza delle persone giuridiche all’esistenza dei fini e dei mezzi. Ogni persona giuridica canonica, difatti, ai sensi del can. 114, §3, deve necessariamente perseguire un fine utile e possedere i mezzi sufficienti in ragione del fine stesso, così che non è possibile costituire persone giuridiche che non perseguano “un fine effettivamente utile e che, tutto considerato, sono forniti dei mezzi che si possono prevedere sufficienti a conseguire il fine prestabilito”.

Esiste, dunque, un positivo provvedimento ab extrinseco dell’autorità ecclesiastica di sottrazione dei beni e dei fini (e non già la mera assenza di attività dell’ente), che permette di dedurre, dal punto di vista prettamente canonistico, la suppressio ab extrinseco implicita, che è istituto esplicitamente ammesso dalla dottrina (cfr. M. Coronata, Institutiones Iuris Canonici, vol. I, Taurini 1950, pp. 166-167, n. 140).

 

8.- Lo Statuto di ODA Scarl non è mai stato approvato dall’Ordinario diocesano (è stata al contrario approvata il passaggio dei beni di ODA ente-canonico ad ODA Scarl, ed il conferimento - “svuotamento” dei beni). L’Ordinario, pertanto, sull’approvazione dello Statuto civile ha rilasciato ogni competenza. Si evidenzia che in Diritto Canonico l’approvazione degli Statuti da parte della competente autorità ecclesiastica eppure sia conditio sine qua non addirittura dell’esistenza della persona giuridica canonica (cfr. can. 117).

Lo Statuto di ODA Scarl (costituita in data 03.09.1987) non prevedendo alcun riferimento al regime delle licenze canoniche per i beni, e addirittura esplicitamente prevedendo che il Consiglio di amministrazione avesse potere deliberativo in merito agli “atti e contratti di ordinaria e straordinaria amministrazione, nessuno escluso” (art. 22 Statuto ODA Scarl) evidenzia ancor più la loro natura non ecclesiastica, la loro indipendenza dall’autorità ecclesiastica, e la loro finalizzazione e modalità di amministrazione del tutto indipendenti rispetto a quanto previsto dallo Statuto di ODA ente meramente canonico.

ODA - ente canonico, peraltro, non avrebbe potuto sopravvivere in nessuna veste giuridica civile all’interno di altra persona giuridica civile (partecipazione societaria) non essendo un ente personificato per il diritto civile, né l’eventuale situazione creditoria avrebbe potuto esser rivendicata da parte di un ente meramente canonico inesistente nell’ordinamento giuridico statale.

Qualsiasi interpretazione contraria, pertanto, (che ODA partecipasse in qualità di socio di ODA Scarl, ovvero conferisse un finanziamento infruttifero), è incongruente con l’assenza di personificazione civile e, segnatamente, non fu atto autorizzato da alcuna specifica licenza canonica.

 

9.- Quanto agli uffici: lo Statuto di ODA - ente canonico prevedeva la durata quinquennale dell’ufficio di Presidente. Mons. Luigi Fabbro venne nominato per la prima ed ultima volta Presidente ODA dall’Arcivescovo Alfredo Battisti in data 01.06.1984, cosicché in data 01.06.1989 l’ufficio divenne vacante. Né può invocarsi la prorogatio: nel caso di specie l’autorità ecclesiastica mai più, dal 1984 ad oggi, ha provveduto alle nomine degli organi di ODA ente canonico, così mostrando la convinzione della inoperatività per soppressione dell’ente meramente canonico.

Mons. Fabbro, eppure, è stato condannato per condotte commesse in qualità di “Presidente del Comitato di garanzia di ODA”.

Quanto all’attività di ODA - ente canonico se ne perdono del tutto le tracce per un periodo di ben ventitré anni: dal 1988 (data di svuotamento dei beni e di mancato rinnovo degli uffici) al 2011 (data di formale soppressione di ODA da parte del Vescovo) non essendovi più atti canonici che forniscano prova della sopravvivenza di ODA - ente canonico. Il Tribunale civile, invece, ha sostenuto che ODA ente canonico esistesse nell’ordinamento civile come “Fondazione di fatto” ancora negli anni 2008-2010, quando di fatto, tutto era cessato nel 1988.

 

10.- Se così non fosse, l’autorità ecclesiastica avrebbe dovuto vigilare secondo poteri espressamente riconosciuti dal can. 1276. L’Ordinario avrebbe parimenti potuto sostituirsi nell’amministrazione del beni, secondo poteri riconosciuti dal can. 1279, §1, nel caso dell’amministratore asserito negligente, ed avrebbe dovuto nominare agli uffici di governo di ODA, che invece dal 1984 mai più ebbero nomine, scadute nel 1989.

 

11.- Che l’Ordinario nel 1987 intendesse sostanzialmente “disecclesiasticizzare” i beni, conferirli ad una persona giuridica (ODA Scarl) del tutto autonoma da ODA - ente canonico, non soggetta né alla giurisdizione canonica, né allo Statuto di ODA - ente canonico, né dunque alle licenze canoniche, si evince anche da una lettera dell’Ecc.mo Arcivescovo Mons. Alfredo Battisti, inviata a Mons. Fabbro in data 11. 6. 1997.

Dalla medesima anzitutto si deduce che non vi fosse alcun problema di vigilanza e di negligente amministrazione, attesa la ribadita fiducia, nonché la richiesta di recedere dalle dimissioni dall’ufficio di consigliere del Seminario: “Questa lettera mi dà l’occasione per confermarTi la stima e la gratitudine mia e della Chiesa udinese per l’opera intelligente e appassionata con cui hai dato impulso alle Arti Grafiche, per la indefessa attività prestata nell’EFA e nell’ODA e nell’Istituto Sostentamento Clero da te iniziato e avviato in tutte le operazioni di trasferimento dei beni beneficiali. Ti chiedo di soprassedere alle Tue dimissioni di consigliere del seminario... RinnovandoTi i sentimenti di fiducia e di affetto mi confermo...” (ibid.).

La lettera, inoltre, domandando di eliminare dalla ragione sociale di ODA Scarl l’acronimo “Opera Diocesana Assistenza” ribadisce la volontà originaria di tenere separate le due persone giuridiche (ODA-ente canonico ed ODA Scarl), e la preoccupazione che la chiara separazione giuridica non fosse tuttavia sufficientemente percepita ab extra, così che ODA Scarl, nella sua attività di amministrazione di beni immobiliari, potesse apparentemente coinvolgere la chiesa particolare (la Diocesi), ovvero apparisse agire a nome della Chiesa.

E’ invece detto che ODA Scarl debba agire in maggiore libertà per le distinte affermate finalità della Soc. cooperativa: “La ragione che mi ha spinto a verificare la possibilità di sostituire il titolo: ‘Opera Diocesana Assistenza’ con altro nome, non è per disistima verso l’attività della cooperativa, ma per lasciare maggiore libertà di gestione economica di un enorme complesso immobiliare che, per sostenersi, deve ospitare attività certamente conformi a valori umani, etici e civili, ma non sempre coincidenti con gli scopi che deve prefiggersi la chiesa particolare” (ibid.). 

 

12.- Il decreto dell’Ordinario datato 14.03.2011 di formale soppressione di O.D.A. – ente canonico pare dunque giuridicamente ultroneo ed inutile, rispetto ad un effetto già considerato pacificamente raggiunto dall’autorità ecclesiastica a far data dal 1988. Il decreto di formale soppressione del 2011, inoltre, ha indotto il macroscopico errore che ODA ente canonico fosse ancora esistente ed operativa a quella data.

Nello stesso decreto del 14.03.2011 di asserito “scioglimento”, inoltre, si menziona, quale giusta causa, l’assenza di finalità, di identità giuridica e di mezzi di ODA già a far data da un tempo assai remoto: “ora, considerando che l’Opera Diocesana di Assistenza era il braccio operativo della Pontificia Opera di Assistenza e che quest’ultima è stata sciolta nel 1970 da S.S. Paolo VI...” (ibid.). Si ammette, dunque, che ODA fosse collegata con la Pontificia Opera di Assistenza eretta nel 1953, e che le finalità storiche di queste fossero venute meno, come di fatto sono storicamente ed obiettivamente venute meno, nel 1970, con assenza, dunque, dei fini istituzionali di ODA ente meramente canonico.

Inoltre: “...tenendo conto dei mutamenti avvenuti nella disciplina canonica ed essendo mutate le condizioni per cui l’Opera era stata istituita...” (ibid.). In questo caso ci si riferisce alla promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico avvenuta nel 1983, ed all’accordo di modifica del Concordato del 1984.

Il decreto, dunque, rimanda a soppressioni del 1970, alla promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983 ed alla intervenuta novella concordataria di cui alle citate L. 121/85 e L. 222/85. Risulta dunque assolutamente non credibile una sopravvivenza giuridica di ODA così posteriore alla soppressione della Pontificia Opera di Assistenza (1970), all’estinzione della Mensa arcivescovile di Udine (1987), al completo mutamento di ODA ente canonico in ODA Soc. coop. a r l. ricadente sotto altra e diversa giurisdizione di diritto comune statuale (1987), al conferimento di tutti i beni della massa patrimoniale personificata (1988), all’assenza di vigilanza e/o sostituzione nell’amministrazione e/o controllo del rendiconto, ed alla vacanza di uffici così datata nel tempo (dal 1989).

A far data dal decreto di licenza di conferimento beni del 16.03.1988 e dal successivo effettivo conferimento, non risulta che alcun bene ecclesiastico sia più appartenuto all’ente canonico ODA, alcun atto di amministrazione di beni sia più stato posto in essere, alcuna partecipazione societaria sia più stata rivendicata (ovvero, in successioni di persone giuridiche civili succedute a ODA Scarl sia mai stata rivendicata dall’autorità ecclesiastica), alcun conto corrente sia mai più stato intestato ad ODA ente canonico, da cui non è dato comprendere quanto disposto nel 2011, e neppure in che cosa sia consistita la liquidazione di quell’anno che, è dato presumere, non abbia registrato da parte del eppure nominato Liquidatore, alcuna attività. Ma anche quella documentazione (relativa alla liquidazione del 2011) mai è stata esibita nel processo!

 

13.- In conclusione, in ragione delle categorie giuridico-canoniche sopra esposte, è dunque possibile dedurre che l’Ordinario diocesano, con decreto del 02.09.1987 di integrale mutamento sia della natura giuridica, sia anche della giurisdizione inerente ad O.D.A. ente meramente canonico mutato in Soc. coop a r. l. ente meramente civile, e di trasferimento a quest’ultima dei fini e statuto, abbia inteso tacitamente o implicitamente sopprimere la persona giuridica canonica: “... positiva revocatio sive implicite, sive explicite fieri potest, utraque vero sive ex iuris praescripto sive ex formali decreto revocatorio. Explicita suppressio habetur si expressis verbis concessa antea personalitatis auferatur et denegetur; implicita si iura omnia personalitatis collegio vel fundationi auferantur quin de ipsa personalitate sermo occurrat” (M. Coronata, Institutiones Iuris Canonici, vol. I, Taurini 1950, p. 166, 167, n. 140).

 Con decreto 16.03.1988 l’Ordinario ha conseguentemente autorizzato il conferimento di tutti i beni di O.D.A. ente meramente canonico ad ODA Soc. coop. a r. l. ente meramente civile, integralmente svuotando l’ente canonico dell’universitas rerum, e dunque dell’elemento ontologico ad substantiam, che permette di dedurne, secondo le categorie canonistiche, la soppressione implicita o tacita.

Tale sostanziale devoluzione ha inoltre comportato che i beni ecclesiastici appartenenti ad ODA ente meramente canonico, non fossero più da questo rivendicabili (posizioni creditorie o altro) per totale assenza di personificazione giuridica civile di ODA ente canonico, così sottraendosi alla diretta giurisdizione canonica, e divenendo beni privati, sotto la giurisdizione esclusiva statale.

Con la successiva assenza di nomine agli uffici a scadenza quinquennale (scaduti nel 1989), l’assenza di attività, l’assenza di vigilanza, l’assenza di atti posti in sostituzione dell’amministratore asserito negligente, l’assenza di redazione e di controllo del bilancio con approvazione dell’attività di ODA - ente canonico in Consiglio affari economici diocesano, l’assenza di impugnazione degli atti di straordinaria amm.ne eventualmente avvenuti senza licenza canonica, l’assenza di rivendicazione di posizioni creditorie di ODA – ente canonico, e la richiesta che ODA Scarl mutasse nome onde non ingenerare falsa rappresentazione di collegamento con la giurisdizione canonica, l’autorità ecclesiastica ha ulteriormente palesato l’avvenuta soppressione tacita o implicita dell’ente e dei connessi uffici divenuti non già vacanti ma inesistenti. L’assenza della giurisdizione ecclesiastica su ODA Scarl, e su qualsiasi persona giuridica meramente civile che ad ODA Scarl sia civilmente succeduta, è evidente.

La realtà storica mutata già a far data dal 1976, e quella normativa mutata nel 1983 e nel 1985 rendono la tesi esposta l’unica ammissibile.

Ove non si volesse ammettere la soppressione implicita o tacita di ODA ente meramente canonico, si evidenzia nondimeno che lo Statuto di ODA Scarl (e di qualsiasi persona giuridica civile ad essa succeduta) dimostri totale assenza di giurisdizione canonica (nomine, potere deliberativo ecc.), assenza di amministrazione dei beni ai sensi del Diritto Canonico, configurazione degli stessi quali beni non ecclesiastici, assenza di controllo del bilancio, espressa previsione statutaria di ogni e più ampia facoltà deliberativa in ordine all’amministrazione da parte degli organi di ODA Scarl, ivi comprese “operazioni mobiliari ed immobiliari, economiche e finanziarie, nonché l’adesione a consorzi” per il raggiungimento degli scopi sociali della cooperativa, invero infungibili e del tutto sganciati rispetto a quelli di ODA ente meramente canonico.

Qualsiasi atto di amministrazione disposto nell’ambito delle attività di ODA Scarl (o persone giuridiche civili ad essa succedute), pertanto, solo a questa è attribuibile, senza alcun riferimento allo Statuto, alla persona giuridica canonica, alla giurisdizione canonica, ed alle finalità di ODA ente meramente canonico, nel cui ambito era ricompresa l’amministrazione di soli beni ecclesiastici, e la cui amministrazione era strettamente normata dal Diritto Canonico.

Le condotte ascritte al Rev. Luigi Fabbro, pertanto, riferite agli anni 2008, 2009,e 2010, che egli avrebbe commesso in qualità di “Presidente del Comitato di garanzia” di ODA ente canonico, pertanto, sono MATERIALMENTE IMPOSSIBILI.

 

Le somme per le quali il Rev. Fabbro è stato condannato furono oggetto di donazione personale del Rev. Brianti al Rev. Fabbro, e di donazione successiva da parte del Rev. Fabbro, a fondo perduto, a società che gestivano colonie ed attività di turismo sociale

14.- In punto di morte, come è stato testimoniato anche nel processo penale, Mons. Brianti, del clero di Udine, Presidente di ODA ente canonico, per una serie di circostanze legate alla sua vita personale, consegnò a Mons. Fabbro libretti al portatore intestati a “Primavera 76” giacenti, alla morte di Mons. Brianti (24.04.1984) presso la Banca Popolare Udinese, esprimendo la chiara volontà che Mons. Luigi Fabbro li tenesse fuori dai beni di ODA, e li destinasse alle attività che il Sacerdote avrebbe ritenuto, a sua discrezione, più opportune.

Dei libretti e del loro contenuto, non si trova mai menzione nei bilanci di ODA, già sotto la presidenza di Mons. Brianti, né menzione di tali libretti si rinviene neppure nella successiva predetta Relazione di stima, previa alla devoluzione totale dei beni di ODA e conferimento ad ODA Soc. coop. a r. l. del 1988.

Né la intestazione “Primavera 76” (o qualsivoglia altra possibile) dichiara in alcun modo la finalizzazione delle somme a cause pie e dunque la configurazione del lascito quale pia volontà destinata specificamente ad O.D.A.

Che le somme depositate non fossero destinate ad ODA è significativamente evidenziato dalle ricostruibili circostanze, ossia dal fatto che l’allora Presidente di ODA, Mons. Brianti, tenendo distinto quel patrimonio (beni privati) da quello ecclesiastico di ODA (beni ecclesiastici), alla sua morte non solo non trasferì i libretti bancari all’Ordinario diocesano quale esecutore nativo delle pie volontà (cfr. can. 1301), ma neppure li trasferì fiduciariamente ad alcun consigliere ODA, né manifestò ad alcuno la volontà che le somme andassero intese quali beni ecclesiastici appartenenti ad ODA, ovvero che andassero consegnate da Mons. Fabbro all’Ordinario, ovvero che questi le trasferisse ad ODA  Non vi sono dunque elementi per sostenere l’appartenenza dei libretti “Primavera 76” ad ODA-ente canonico, e dunque la loro caratterizzazione quali beni ecclesiastici: si trattò di una donazione privata di Mons. Brianti a Mons. Fabbro.

 

15.- A Mons. Fabbro non può essere inoltre riconosciuto il ruolo giuridico di fiduciario canonico, né di esecutore canonico di pie volontà, né di esecutore testamentario, né di onerato di legato, né di soggetto agente in qualità di Presidente pro tempore ODA giacché dagli atti trasmessi non è ricostruibile la volontà di Mons. Brianti, salvo quella di consegnare i predetti beni privati e non ecclesiastici alla persona di Mons. Luigi Fabbro allorché Mons. Fabbro non era Presidente di O.D.A. (la nomina avvenne nel successivo 01.06.1984 e la morte di Mons. Brianti avvenne il 24.04.1984).

 

16.- Né i beni sono mai divenuti beni ecclesiastici, neppure dopo il trasferimento delle somme di cui ai libretti al portatore “Primavera 76” sul conto corrente “Luigi Fabbro O.D.A.” presso la Banca Antoniana (cc. 11676: cfr. doc n. 7) acceso in data 22.10.1992.

In tale anno (allorché Mons. Fabbro non era più Presidente di ODA ente canonico), non essendo più possibile mantenere libretti al portatore, al fine di non far confluire, nel caso di suo decesso, tali somme nella sua successione ereditaria a favore dei propri parenti, egli decise di usare l’acronimo “ODA” (ente, si è detto, estinto nel 1988) per distinguere quel denaro personale, affinché in caso di apertura della propria successione potesse non confondersi con il proprio patrimonio personale, e potesse andare ai ragazzi delle colonie.

Evidente che l’aggiunta di un acronimo (un tempo permessa) sul nome di un proprio conto corrente, non possa costituire una donazione implicita a favore di nessuno. Quanto all’intestazione, si sarebbe difatti potuto aggiungere qualsivoglia acronimo, sia di fantasia, sia non di fantasia, senza mutare giuridicamente la natura privata e non ecclesiastica del bene. Indubbiamente quell’aggiunta, con il senno di poi, è stata improvvida, ed ha ingenerato l’errore della Magistratura, ma occorre evidenziare l’ingenuità dell’errore: se Mons. Fabbro avesse aggiunto l’acronimo FIAT sul nome del conto, i suoi risparmi sarebbero divenuti parte del patrimonio della FIAT?

Quanto al soggetto legittimato ad operare sul conto corrente, è sempre risultata la sola persona fisica Luigi Fabbro, senza alcuna limitazione o firma congiunta, che tradizionalmente viene inserita per gli enti ecclesiastici in riferimento alle Licenze canoniche per gli atti di straordinaria amministrazione.

L’ufficio di Presidente di ODA-ente canonico, per Mons. Luigi Fabbro, si è già detto essere peraltro scaduto in data 01.06.1989, mentre il c.c. fu acceso nel 1992. E la donazione da parte di Mons. Brianti a favore di Mons. Fabbro avvenne nel 1984 allorché il Fabbro non era ancora Presidente ODA. L’acronimo ODA fu pertanto inserito solo da Mons. Fabbro nel 1992, su un conto personale, in un anno nel quale egli non rivestiva neppure più alcun ufficio in ODA.

L’accensione di quel conto corrente mai fu autorizzata e disposta da alcuna autorità ecclesiastica, come sarebbe stato, prevedendo il sistema delle firme congiunte, per qualsiasi ente ecclesiastico.

L’accensione nel 1992 di un conto corrente, ancorché intestato a Mons. Fabbro con acronimo ODA ente canonico, non ha mutato di per sé la natura di quei beni, che non divennero ecclesiastici e dunque non di pertinenza di una persona giuridica pubblica di diritto canonico.

L’amministrazione delle predette somme, in tutti i successivi trasferimenti ed atti dispositivi, pertanto, va considerata sottratta alla giurisdizione canonica, allo Statuto ed alle conseguenti Licenze ecclesiastiche nell’ambito della persona giuridica pubblica canonica ODA – ente canonico ed al suo Statuto.

 

17.- Le somme furono conferite da Mons. Fabbro nel 2001 a FINGEFA spa: Società partecipata, tra le altre, da Efa, e Getur. FINGEFA era dunque società controllata da enti amministrati o comunque controllati dall’autorità ecclesiastica, nell’ambito della gestione di colonie, immobili, attività sociali, fino anche alle colonie per ragazzi svantaggiati in montagna a Piani di Luzza (soc. TUGLIA sci).

Mons. Fabbro, per salvare la Società decotta, rinunciò a quel finanziamento personale perché potesse essere espunto dal bilancio quale debito, e nel 2010 conferì fondi a TUGLIA sci. 

Tuttavia, dell’atteggiamento mutato da parte dell’autorità ecclesiastica nei confronti di questi enti se ne trova menzione nella sentenza di appello: “…gerarchia ecclesiastica che di lì a poco avrebbe manifestato attraverso gli avvocati di EFA sfavore nei confronti delle società decotte e volontà di abbandonarle alle loro sorti” (Corte di Appello di Trieste, sent. r.g. app. 458/15, del 06.04.2016, p. 2). 

 

18.- In conclusione, le somme originariamente depositate su Libretti al portatore sotto la denominazione “Primavera 76” e poi depositate su un conto corrente bancario acceso nel 1992 non sono mai appartenute ad ODA ente canonico, né esse hanno mai assunto la qualifica giuridica di bene ecclesiastico. Tali somme non sono dunque mai state subordinate alla giurisdizione canonica nell’ambito di detto ente, né hanno avuto finalizzazione conforme a quanto stabilito negli Statuti di O.D.A – ente canonico approvati il 10.11.1954 e riformati il 19.06.1984: erano somme private di Mons. Luigi Fabbro, donategli da Mons. Brianti.

Egli solo nel 2001 decise di usare quel denaro personale, che aveva sempre tenuto distinto dal proprio patrimonio, per salvare Società che si occupavano delle colonie dei ragazzi e del turismo sociale. Il Rev. Luigi Fabbro, nel disporre di esse nel 2001, ha lodevolmente disposto di beni privati, spogliandosene, e non ha agito (tra il 2008 ed il 2010) in violazione dello Statuto di ODA ente canonico, già estinto nel 1988.

Se egli avesse tenuto per sé il denaro donatogli da Mons. Brianti, e dunque avesse voluto veramente “appropriarsene”,  non lo avrebbe prima conferito come finanziamento infruttifero, e poi “regalato” a Società che gestivano colonie di ragazzi e turismo sociale.

Il paradosso è pertanto evidente: se Mons. Fabbro avesse tenuto per sé quel denaro, mai nessuno se ne sarebbe accorto. Al contrario, decidendo di donarlo per fini ed interessi non propri, ha paradossalmente fatto sì che si ingenerasse un macroscopico errore giudiziario che, per quanto evidente, non è stato compreso a motivo della specificità dell’intersecarsi della giurisdizione canonica e civile in materia di enti ecclesiastici.

Resta un solo obiettivo fatto: Mons. Luigi Fabbro non si è mai appropriato di alcuna somma.

 


martedì 10 maggio 2011

LA VITA PASSAGGI E STUAZIONI ...RIFLESSIONI DI LUIGI FABBRO

   Il mio primo approdo da prete fu in un  paese del Friuli centrale-VARIANO DI BASILIANO-.Fui inviato come vicario ,in quanto"godevo?"per abitazione di una vecchia casa,oggetto di un lascito dal nome del donatore ,chiamato Bertolini.Con me portai pure i genitori,anziani ed ammalati ;mia madre era cardioapatica,mio padre ,70 anni,un contadino consunto.
.   Il parroco...Vicario mons Luigi.. anziano xchè vecchio per anni e per mentalità,quantunque,nei due anni di permanenza ci si  sia affezzionati,per l'istinto  fisiologico reciproco alla sincerità, che ci relazionava e ci poneva in rapporto con i praticanti...Lui era un duro...incuteva terrore quando occasionalmente si portava in paese..dalle strade tutti si affettavano a rientrare in casa... tutti,per le donne in particolare, riservava richiami rimugginanti o per i mariti o per i figli ed ancor più per le figlie...i suoi insegnamenti erano radicalmente due : ira & avarizia..a suo dire predicava i suoi difetti,che viveva come catene ai piedi...la gente ,a suo modo,lo stimava;lo dimostrò,sopratutto,quando ,nel secondo anno di mia permanenza,fu colpito da ictus cerebrale e ,costretto a letto,mi mandò dal Vescovo ,a portare la richiesta che,avendo dato TUTTO...i vitelli e le mucche della stalla..tutti i raccolti ,frutto delle quarantesime parti dei raccolti agrari(quartese)...il vino della vigna ecc...alSeminario e con i risparmi aveva comperato  a Castellerio(Pagnacco) una collina moreninica con sovrastanti 11 campi friulani,denominata poi "Collina Vicario"...aveva diritto di essere ospitato in seminario a Udine, per la convalescenza...
   Armato di tante giuste rivendicazioni, mi feci ricevere dal Vescovo ,cui illustrai le debite attese ..per tutta risposta mi schiantò....non è il caso di darsi preoccupazione per la colloczazione.... la migliore soluzione era la casa di riposo di S.Vito al Tagliamento...là, avrebbe ricevuto ottime cure ed assistenza..
   .Rientrato con questa fredda e bugiarda risposta,non sapevo, da uomo sincero, come prospettare un tale falso miraggio..entrai in camera bagnato di sudore come un cane da un piovasco..biascicavo parole come un ubbriaco,,per convincerlo che il vescovo a san Vito avrebbe escogitato quanto per lui meglio si addiceva alla guarigione...egli con gli occhi sbarrati ,vitrei,confusi mi guardava disorintato e confuso e mi chiedeva se le mie parole erano sincere come sempre o se stavo cedendo alle bugie del Vescovo...ancor oggi,stretto fra le domande imploranti più verità,che guarigione,mi vergogno di non essermi opposto a quella bugiarda ed ingannevole soluzione...
.Io stesso lo accompagnai con la macchina nella casa di riposo,dove tutte le donne del paese si turnarono per una sincera e grata assistenza..ogni giorno mi recavo in visita per favorire la turnazione delle infermiere improvvisate,ma sincere,,ogni giorno mi chiedeva quando sarebbero iniziate le cure,anche perchè mai un medico l'aveva visitato e si approssimava la festa del Corpus Domini..doveva rientrare per la prima comuniome dei fanciulli..in quello stesso giorno,non essendomi recato alla Casa..lui capì..si alzò e di nascosto si trascinoò fino alle scale...mi scivolato ,,,precipitò a capitomboli fino al pianoro...raccolto e rimesso a letto..visse circa 24 ore..poi spirò.
.   Il giorno della morte dei miei genitori non piansi..e non per mancanza di dolore,ma forte della verità della vita anche quando è straziante...al funerale di D.Vicario piasi come Pietro..avevo collaborarato a tradire un uomo sincero...crebbe di molto la mia disistima verso  gli uomini della istituzione..cominciai un percorso di sfiducia strisciante...che negli anni si consolidò .
.Ancora oggi sono molto confuso..perchè , mi chiedo, quegli uomini che RICEVONO LA PIENEZZA DELLO SPIRITO SANTO DI VERITA..siano partecipi e viventi dello spirito di falsità umana...forse perchè,come dice s.Paolo nella lettera ai Corinti,in essi non trionfi il loro prestigio,ma ,in tanta puerile miseria,traspaia e si renda visibile l'azione del Signore...

mercoledì 4 maggio 2011

Memoria di Don Luigi FABBRO in data 17 settembre 2010

Desidero esprimere per iscritto quanto è avvenuto dal 20 aprile 2010 ad oggi venerdì 17 settembre 2010.

Il giorno 20 aprile incontrai nella sala del consiglio di amministrazione di via aquilegia 16 il consigliere di amministrazione della fondazione dr. Avv. Enrico Leoncini ed ilo presidente del consiglio dei revisori dr. Andrea Stedile.
Fui pregato di ascoltare con attenzione quanto mi avrebbero riferito.
I due professionisti avendo avuto dei segnali contraddittori da parte delle gestioni operate dal consigliere di amministrazione rag. Franco Marti Pirelli vollero incontrare l’impresario della cooperativa di edilizia che era impegnata nella costruzione di due complessi a Sappada e di altri lavori in nome e per conto di una società a ciò istituita che poi seppi  chiamarsi società Monte Ferro S.r.l. e della Co.Ge.Fa. S.r.l. .
Lo scrivente era stato convinto dal rag. Franco Pirelli Marti che tutto ciò che risiedeva in Sappada era stato allineato; tale convinzione scaturiva da una acclarata affermazione dello stesso ragioniere nel quale il sottoscritto riponeva fiducia e pertanto accettava l’affermazione senza chiedere contropartita di prove.
I due che incontrai il giorno 20 aprile mi riferirono un complesso di realtà completamente opposto a quello cui io prestavo fede, e cioè: in Sappada non era stato alienato nulla e varie proprietà erano intestate a varie società di cui poi conobbi denominazione e contenuti, ma che comunque facevano riferimento alla Fin.Ge.Fa. S.p.A. .
La Fin.Ge.Fa. era stata deliberata dalla fondazione EFA che al tempo dalla istituzione disponeva di una certa liquidità affinché la stessa società, con piccole operazioni di compravendita potesse introitare degli utili economici, in quanto erano venuti meno tutti i contributi regionali per le attività istituzionali; inoltre la stessa società era stata istituita per realizzare degli interventi su beni della fondazione senza di questa comprometterne il nome ed eventuali contraccolpi finanziari.
Della Fin.Ge.Fa., fin dalla data di costituzione, fu nominato dal consiglio di amministrazione della fondazione, presidente il rag. Franco Marti e consiglieri l’avvocato Enrico Leoncini ed il ragioniere XXXXXXXXXXX Dominica.
La società operò conformemente all’oggetto sociale sia in acquisizioni ed alienazioni, sia in ristrutturazioni di immobili dell’ente o acquisiti dall’ente. La stessa società, alla fine di ogni anno formulava, alle date di legge il proprio bilancio accompagnato dalla relazione dei revisori.
Al relatore scrivente fu facile verificare materialmente l’operato della società in quanto gli amministratori godevano la totale fiducia.
La realtà operativa della società Fin.Ge.Fa. perse da parte mia anche il controllo materiale quando operò nell’ambito del comune di Sappada.
L’interesse per cui la società si rivolse verso quel territorio scaturiva dal fallimento della società per azioni Sappada2000 che gestiva le sciovie sul territorio e alle quali la cooperativa Ge.Tur inviava i ragazzi ospitati nel villaggio alpino di Piani di Luzza partecipanti alle settimane bianche .
Per circa duo o tre anni dalla dichiarazione di fallimento la Fin.Ge.Fa. per il tramite di una partecipata srl denominata Tuglia Sci chiese ed ottenne la locazione delle sciovie dal tribunale di Belluno.
Dopo due anni di gestione in affittanza il tribunale si oppose a tale rapporto e evidenziò la necessità che proveniva da parte dei creditori del fallimento dell’acquisto delle sciovie stesse.
Il rag. Franco marti pirelli si recò presso il tribunale per verificare il numero dei partecipanti all’asta senza la volontà di procedere all’acquisizione da pèarte della Tuglia Sci. Non ricordo a quale ora del giorno, ma intarda mattinata, mi fece una comunicazione telefonica nella quale mi riferiva che il presidente incaricate dell’asta non essendosi presentato alcun acquirente ritenevaa di non dover procedere assolumente a nessun tipo di locazione ma di recuperare quanto poteva dalla vendita del mateirale ferroso e di quant’altro di proprietà di Sappada 2000
Il marti mi chiese quale comportamento tenere, se lasciar perdere la realtà o partecipare egli stesso aall’asta. Considerato il costo assai contenuto, benché non fossi in possesso di una delibera appropriata lo autorizzai all’acquisto per il tramite della società tuglia sci.
La sitazione delle attrezzature sportive evidenziata un pessimo stato in quanto la società fallita non aveva provveduto per mancanza di mezzi finanziari all’orindaria manutenzione che ne proseguire del tempo si trasformo in straordinaria in quanto le forniture della corrente elettrica e dell’acqua per l’innevamento artificiale erano inefficienti o in stato talemente precario da rendersi pericolose per gli utilizzatori.
Al tempo il MARTI costituì una ulteriore società per le manutenzioni delle sciovie e la gesitione delle stesse che si denomiò skiprogram srl.
La costituzione di tuglia sci e di skiprogram venne motivada dal presidente per facilitarne quanto prima la rendita e per distinguere in maniera analitica i costi ed i ricavi della gestione.
Di seguito fui infermato che la società tuglia sci procedette all’acquisizione dei rifugi a monte e a valle delle sciovie per ospitare i ragazzi del villaggio per la ristorazione del pranzo ondwe evitare dispersivi e fastidiosi viaggi con navette dal villaggio alle piste; il progetto fu condiviso e, per iltramite di tuglia sci, con finanziamenti della società madre fingeefa, furono acquisiti i rifugi.
Di tutte queste operazioni il sottoscritto ebbe notizia e verifica solo nell’ambito dei bilanci finali.
Dal momento dell’acquisizione di tutto il complesso sportivo sciistico lo scrivente era fortemente convinto di doversene liberare, il più presto possibile, perché una tale attività rivestiva difficoltà di gestione, impegni finanziari e, in ultima istanza, esulava dalle finalità complessive della fondazione, benché l’attività sportiva fosse contemplata nell’amito del turismo sociale.
Il presidente marti sostenne sen perche la vendita, soprattutto nel comparto sportivo di sappada non trovava acquirenti, essendo per un verso confinante con il friuli venezia giulia la cui regione dispone di un’associazione pubblica (Promotour) dotata di notevoli strumenti finanziari per il potenziamento del turismo in friuli, e, dall’atro vero, il comparto era precduto dalle notevoli stazioni sciistiche presenti nelle Dolomiti, tali per cui le sciovie di sappada erano meno che una cenerentola.
La tesi del presidente marti, sotto la pressione a vendere del sottoscritto, era che tale finalità si poteva raggiungere solo coinvolgendo l’interesse di finanziatori che potessero ricavarne un’utilità sul territorio.
Venne illustrata dallo stesso presidente al consiglio l’occasione che offriva il comune di sappada di riqualificazione ambientale di alcune proprietà comunali, cui avrebbe pottuto acccedere attraverso la partecipazione a delle aste che il comune stesso poneva in essere, piani che si definiscono PIRUEA (piani di riqualificazione urbanistica e ambientale).
Seppe che il presidente partecipò all’asta attraverso la società tugliasci che contestualemente l’offerta finanziaria che egli fece riuscì vincente.
Da questa informazione a tutti gli sviluppi successi il sottoscritto non conserva informazioni né puntuali né analitiche in merito salvo che un giorno – no ricordo esattamente la data – lo stesso presidente affermò che i terreni acquisiti avevano permesse l’interesse di una grossa azienda che avrebbe acquisito,contestualmente, anche le strutture e che in effetti,a dire del rag. Marti le acquisì
Il sottoscritto, da quella notizia, per ben tre anni, fino al 20 aprile 2010, visse nella certezza che a sappada le società partecipate da Fin.Ge.Fa. erano pure partecipate in percentuale di maggioranza anche da questa azienda investitrice e che quindi la responsabilità amministrativa ed economica di tutta la realtà sabbadina veniva ridotta e tornava marginale.
La ragione della informazione non corretta data al sottoscritto ancor oggi non è acclarata.
Per ammissione dello stesso presidente di Fin.Ge.Fa. quando dal sottoscritto fu chiamato a rispondere di  tutto l’operato in sappada fino alla data della comunicazione ma soprattutto di quanto lo stesso operò dopo quella informazion, egli stesso, per pubblica ammissione, dichiarò di aver tradito la fiducia del presidente con una affermazione falsa.
Il sottoscritto per conoscere i termini esatti di carattere patrimoniale e contabile della situazione sabbadina e di tutte le società di cui venni a conoscenza attraverso una vera spremitura informativa nei confronti del rag. Marti incaricò una professionista di operare in modo analitico su tutta la situazione contabile nell’ambito della sede delle società in via moretti. La professionista incaricata fu la dott.ssa daniela lucca che esibì, dopo circa dieci giorni, un estratto contabile puntuale su tutta la situazione.
Da quell’analisi venni a conoscenza che l’ammontare dei debiti complessivo di tutte le spcietà era di circa 41 milioni di euro e che l’ammontare del valore dei beni patrimoniali era di circa 45 milioni, incluso il valore delle sciovie. Chiaramente le sciovie restavano nel comparto immobiliare l’anello debole in quanto difficilmente alineabile e quindi detratto il valore delle piste delle sciovie, riportato ad un valori di circa 17-18 milioni, residuava un passivo finanziario di circa 24 milioni.
Tale passivo era costituito da debiti a breve termine nei confronti di ditte che avevano operato sul patrimonio e di debiti a lungo termine costituiti da mutui o leasing garantiti dalla spa Fin.Ge.Fa..
Il debito più pressante proveniva da finanziamenti operati dalla banca cooperativa di cividale, la quale cnvocò il sottoscritto e ne evidenziò l’urgenza del rientro finanziario motivato dalla presenza nella banca stessa di un’ispezione da parte della Banca d’Italia.
La banca di cividale deteneva, da parte della fondazione , una lettera di patronage, che, a parere degli ispettori della banca d’italia non era garanzia sufficiente e pertanto richiedeva che la stessa fondazione proprietaria di beni immobili terreni ed edifici, procedesse, attraverso un mutuo con la stessa banca.
Lo scrivente contrastò per almeno due mesi tale voolontà della banca di cividale sotenendo che essendo la fondazione nell’impossibilità di soddisfare la richiesta di sollecito rientro o di accesso alla mutualità finanziaria, offriva all’istituto di credito l’opportunità di accendere un mutuo con la cooperative di gestioni turistiche ed assistenziali (GeTur) unica realtà operativa in grado di poter soddisfare in un lasso di tempo ventennale il rientro.
Nelle more delle trattative fra la banca e la fondazione, il direttore della banca di cividale, assieme all’avv. della banca fabbro federico e al pres. del collegio sindacale della banca dr. Stedile, convocò nello studio di quest’ultimo alcuni consiglieri della fondazione, e precisamente il dr. Giuseppe Bertoli, il dr. Avv. Gabriele damiani ed il dr. Avv. Enrico Leoncini assieme allo scrivente affinché fosse accolta la richiesta della banca evidenziando come gli ispettori della banca d’italia volevano che l’impegno fosse a carico diretto della fondazione e di nessun altro. Nell’ambito dell’incontro il sottoscritto continuò a battersi contro la soluzione esigita  dai rappresentanti della banca mentre i consiglieri su nominati dettero il loro consenso affinché si procedesse in conformità al desiderio dell’ist. Di credito.
Il sottoscritto per disapprovare la decisione che i rappresentanti stavano per prendere uscì dalla sala in modo dirompente e si allontanò rientrando al proprioo domicilio.
Nell’accosiane dell’adunanza del consigli di amministrazione della fondazione fu presa la delibera di accedere all’acquisto del debito di Fin.Ge.Fa. e si dette l’avvio alla stipula del mutuo per l’importo di 20 milioni di euro a cui la banca dette disponibilità per ulteriori 2 milioni di finanziamento.
 Alla data in cui questo consiglio avveniva, il rag. Franco marti pirelli era assente in quanto era stato richiesto dal consiglio l’obbligo di dare, seduta stante, le dimissioni da tutte le società e dalla stessa fondazione; dimissioni che furono espresse una di seguito all’altra e che furono precedute dalla dichiarazione del trattamento scorretto, in quanto falso,con cui si era rapportato con il sottoscritto e di cui si doleva, disponendosi però a collaborare al ripianamento dei debiti mettendo a disposizione anche beni propri.
Da quella seduta il rag. Pirelli marti ovviamente fatto oggetto di giudizio estremamente negativo per la scorrettezza del suo operato venne allontanato e diffidato di potersi ancora interessare, per qualsiasi verso, della sua amministrazione, dei beni amministrati e dei rapporti finanziari con debitori e creditori in essere.
Il parere dello scrivente, nei confronti del consiglio nel merito delle dimissioni istantanee, non era condiviso, in quanto dichiarò che il rag. Marti doveva restare in consiglio, assumersi tutte le sue responsabilità, provvedere alla soluzione delle gravi problematiche poste in essere, anche con la compromissione dei suoi  beni personali e intravedeva nelle dimissioni una deresponsabilizzazione quanto mai facilitante da parte sua, lasciando il consiglio in un ginepraio di problematiche che solo con il suo concorso conoscitivo, delle persone, delle ditte, delle realtà immobiliari delle gestioni potevano essere più correttamente e velocemente risolte.
Il sottoscritto alla stregua delle informazioni che provenivano anche dal rag. Marti ma  soprattutto del soddisfacimento dell’obbligo debitorio degli aventi causa elaboro un primo piano per il ripianamento della situazione debitoria, suddividendo gli impegni fra debiti a breve e a lungo termine. Detto piano sottoposto al consiglio di amministrazione della fondazione che, motivando la sua posizione nel merito del pagamento dei debiti con una più approfondita conoscenza della realtà deliberò che non si potesse procedere al pagamento di alcun obbligo finanziario.
Il sottoscritto tergiversò con i creditori prospettando di avere circa 4 +2 milioni euro disponibili presso la banca di cividale e, sottopsto a pressioni continue e forti dei creditori elaborò un secondo piano di appianamento dei debiti a breve termine.
Il consiglio idi amministrazione della fondazione per la seconda volta rifiutò tale piano e si attestò sul ‘bisogno di conoscere’ mentre lo scrivente sosteneva che l’una cosa, pagare i debiti, e l’atra, approfondire la conoscenza, non si opponevano, ma, per la situazione in essere, si poteva procedere ada subito a soddisfare queoi creditori che minacciavano azioni legali.
Sul soddisfacimento del debito a breve si attestò il consigliere leuncini enrico, il consigliere pischiutta marcello, la rappresentante de provveditorato rag. bulfoni ed il sottoscritto; preso atto che la volontà dei quattro consiglieri (dr. Bertoli, dr. Damiani, dr. Cisilino, dr. Verbi)  non lasciavano alcuno spiraglio a tale soluzione, considerata la pressione dilaniante che il sottoscritto subiva tutti i giorni, i tre consiglieri favorevoli, pur essendo consiglieri di diritto, e la sig. bulfuni, seduta stante, dettero le proprie dimissioni.
Dall’accertamenteo di tutta la complessa spinosa materia il sottoscritto in un primo incontro a lignano sabbiadoro delle notizia all’arcivescovo di udine bruno mazzoccato, prospettando allo stesso le soluzioni percorribili ed effettivamente capaci di superare le difficoltà finanziarie.
In successivi due incontri, a distanza di tempo, lo scrivente aggiornò l’arcivescovo della realtà: tali aggiornamenti avvennero fino alla data delle dimissioni da presidente del consiglio di amministrazione  della fondazione, dopodiché il sottoscritto non fu più interpellato dall’arcivescovo.
Tornando ai fatti successi, nell’occasione delle dimissioni del rag. Marti, il sottoscritto fu incaricato pure della presidenza della cooperativa GeTur fino alla convocazione di una nuova assemblea per ratificare il sottoscritto ed altri tre consiglieri dimissionari. Fu convocata nel breve l’assemblea dei soci, venne comunicata agli stessi una lista di eleggibili e, nella stessa assemblea, i membri eletti dettero la delega di presidente al sottoscritto.
Il consiglio di amministrazione della fondazione fu ricostruito nella sua entità statutaria dall’arcivescovo di Udine il quale modificando l’ente opera aiuto friulano nella quale introdusse il potere di revoca da parte sua dei membri di diritto, nominò liberamente altri consiglieri non tenendo in conto alcuno il dettato nell’art. 14/1 e l’art. 8 nel merito dei membri di diritto: si consumò così un dualismo antitetico nei due enti la cui operatività era proceduta per parecchi anni in piena armonia, pur nel rispetto delle singole autonomie.
Ancora facendo un passo indietro nel tempo all’approvazione dei bilanci delle singole società correlate a Fin.Ge.Fa., mi trovai, per tale scopo, a dover assolvere il compito di amministratore unico delle stesse, tenendo come punto fermo  la delibera della fondazione che imponeva di non procedere ad alcun appianamento di debiti, e, pertanto, fino alla data delle dimissioni avvenute il 14 settembre 2010, lo scrivente resse alla continua pressione dei creditori senza procedere ad alcuna operazione amministrativa, benché si fossero presentati parecchi acquirenti dei beni immobili disponibili per la alienazione.
Per chiarezza di comportamento il sottoscritto al fine  di avere informazioni circa pesone, beni crediti e debiti  e quant’altro si rapportò con il rag. Franco pirelli marti, unico conoscitore dell’operato ed anche depositario di tutte le pratiche amministrative, le quali trovavano la sede materiale presso la sede civile delle società.
Nel merito delle pratiche giacenti presso lo studio del rag. Marti, il sottoscritto convocò i tre responsabili (81% getur – 14% EFA – 5% Ass.ne ODA) delle proprietà della società Fin.Ge.Fa. ; il presidente della fondazione non si presentò per deliberare in seduta ordinaria il trasferimento di sede, bensì chiese attraverso lettera  raccomandata di essere fornito di una serie articolata di documentazioni per ogni società.
Per ricavare tale documentazione il sottoscritto dovette ricorrere nuovamente presso lo studio marti perché ivi erano gestite le pratiche stesse.
Parte furono consegnate all’impiegata sandra reccardini il giorno dopo e parte furono trasferite una volta successiva .
La frequentazione con il rag. Marti fu sempre e solo motivata da necessità di conoscenze e di ricerca documentale; con lo stesso, il sottoscritto dichiaraa di non aver intrattenuto alcun rapporto di tipo amministrativo né di aver complottato alcunché ai danni della fondaazione o di altre iniziativa societaria; fatta memoria tuttavia della disponibilità del marti a voler collaborare dall’esterno nel presentare alcune soluzioni a sollievo della onerosa situazione debitoria, ebbe, alla presenza di un suo rappresentante, dott. D’alessandro alcuni incontri finalizzati alla verifica di alcune proposte che il rappresentante del marti e lo stesso sottoponevano al sottoscritto.
L’interpretazione malevola che scaturì da questi necessitanti rapporti con il rag. Marti e con le proposte che lo stesso faceva, sono solo e semplicemente calunniose ed interpretative di una volontà odiosa nei confronti del marti e dell sottoscritto provenienti da ben specifiche persone facenti parte del consiglio di amministrazione della fondazione; detti calunniosi sospetti non trovano il conforto né di prove documentali né di prove fattuali ma sonno e restano solo affermazioni pregiudizievoli di carattere calunnioso in quanto da parte di alcuni membri del CDA della fondazione si è nutrita la certezza che il sottoscritto fosse a conoscenza di tutto l’operato del rag. Marti quando lo stesso pubblicamente affermava che, per almeno tre anni, mi tenne all’oscuro di tutto bonificando i miei quesiti conoscitivi con l’affermazione falso che ’tutto era stato venduto’.

I primi giorni del mese di luglio il sottoscritto, stresato dalle pressioni dei creditori, sotto l’onere della gestione delle attività della cooperativa e continuamente fatto oggetto dei calunniosi sospetti, decise di dimettersi dalle presidenza della cooperativa.
Detta volontà conosciuta dall’arcivescovo per il tramite del dott. Amodio fece sì che lo stesso mi convocò affinché non dessi realizzazione della mia volontà di dimettermi garantendomi piena e totale fiducia nel mio operato.
Fu così che non detti seguito alle dimissioni e continuai la mia attività di presidenza della getur con tutti i molteplici impegni connessi.
La mia attività di presidente proseguì fino al giorno sabato 11 settembre quando, avendo convocato il consigio di amministrazione della cooperativa, fui raggiunto da una comunicazione telefonaci da parte del consigliere tonassi paolo che mi comunicava chee non avrebbe partecipato al consiglio in quanto mi dovevo assolutmanete dimettere e che maggiorni informazioni nel merito mi sarebbero state fornite dal consulente della cooperativa dott. Dino fabris.
Il dott. Fabris raggiunse la sede della cooperativa alle ore 08.15, mi ripetè lo stesso invito alle dimissioni dicvendo che per me era la scelta migliore; alle mie reiterate domande circa la  ragioe di un tanto e il nominativo del richiedente il dr. Fabris disse che non era tenuto a fornirni né le ragioni né il nome del richiedente, evidenziò solamente il fatto la persona era altolocata.
Alle 08.30 si presentò soltanto il consigliere paolo galasso ed il collegio sindacale.
Aprii la seduta dichiarando che pochi minuti prima erano state richieste le mie dimissioni da un personaggio altolocato e che non mi erano state fornite le moitivazizoni di un tanto, il dr. Fabris confermò quanto avevo dichiarato pregandomi di esprimere per iscritto le dimissioni benché il collegio sindacale mi avesse sollecitato a prendere tempo.
Sottoposto ad una richiesta che conteneva una minaccia velata onde evitare il peggio, mi feci premura di sentire il presidente della fondazion e rag. Giancarlo cruder, il quale categoricamente, senza offrirmi spiegazioni, si espresse con quste parole:’se fossi in lei darei subito le dimissioni’ e non aggiunse altro interrompendo la comunicazione.
A minacce velate, aggiunta minaccia espressa, il sottoscritto ddette le proprie dimissioni da presidente e specificando per iscritto che non intendeva dimettersi dalla carica di consigliere.
Dal giorno 11 alla data odierna non fui contattato da alcun consigliere né da latra persona  affinché mi fosse fornita spiegazione della violenta richiesta.
Il giorno lunedì 13 tuttavia in un articolo del giornale Messaggero Veneto con titolazione cubitale, il cui contenuto, a detta della giornalista era stato raccolto in ambiti curali,  si dava notizia che mons. Fabbro luigi era stato rimosso dall’EFA e che ci sarebbero state delle vicissitudini che avrebbero modificato i vertici della getur. Nell’articolo veniva espressa un’accusa specifica, che c’era necessità di chiarezza e che pertanto a breve sarei stato rimosso.
Il giorno martedì 14 fui intervistato dallo stesso giornale dove precisavo che non ero stato rimosso dall’EFA ma che davo le dimissioni per precisi motivi di contrasto con il consiglio circa scelte amministrative e che le gestioni da me direttamente presiedute non avevano ragione di dubbio circa legalità e trasparenza.
Ad oggi venerdì 17 so che il vicepresidente tonassi paolo sta contattando varie persone per non so quale motivo, benché sia venuto a conoscenza che due consiglieri sono stati avvicinati da lui e dal presidente della fondazione sig. Cruder accompagnato da avvocata trevigiano, per ottenerne le dimissioni e il successive rimpiazzo con persone gradite alla fondazione EFA.

Dall’ultimo incontro di luglio  l’arcivescovo non fui più contattato neppure dopo il calunnioso articolo pubblicato dal messaggero.

sabato 16 aprile 2011

LA VITA....PASSAGGI E SITUAZIONI : RIFLESSIONI DI FABBRO LUIGI

sono nato a udine il 28 dicembre 1939. Fino ad 11 anni ho abitato con i miei genitori  e 6 fratelli a Rive D'Arcano;in seguito,invitato dalle parole,ma sopratutto dall'esempio di una coppia di sposi ungheresi,privi di figli,Alessandro e Margherita Bydeskuttj, mi sono trasferito a Belluno ,in via Garibaldi,parrocchia della Madonna di Loreto.Il Sig.Alessandro era profugo dall'Istria(Fiume) ed a Belluno svolgeva, in tribunale, l'attività di Giudice;lo stesso dopo il mio rientro a Udine,si trasferì a Trento quale presidente della Corte di Appello ed ivi mori;mentre la Sig.ra Margherita lascio il Trentino e passò gli ultimi anni in un'accoglienza di suore,sulla Costa Azzurra.
   Mi fermai con i Sgg. per due anni..signori distinti per l' ampia cultura,per la quantità delle lingue correntemente parlate,per l'amore alla musica,che praticavano ogni giorno al piano,ma distinti sopratutto per la loro FEDE;con la convivenza famigliare imparai per la prima volta,non per intuizione ma per condivisione,la distinzione fra FEDE E RELIGIONE.Il dr Alessandro fu giudice del processo al vescovo di Belluno,trasferito a Padova,per le uccisioni dei partigiani,che danno anche attualmente il nome alla piazza dei Martiri...nella predisposizione di tutti i fascicoli processuali mi chiese di prestarmi per dettare testimonianze..situazioni..accuse..difese ecc..certamente ,al mio stupore relativo alle puntuali accuse mosse ad un Vescovo,egli non mi lasciò in balia a perplessità ed a sentimenti negativi,ma attingendo alla sua Fede profonda , mi spiegò con la serenità dovuta ad un ragazzino,che la fede nel Signore non va commisurata,giudicata,avvallata dal comportamento anche dl eminenti Uomini di Chiesa,ma la stessa si irrobustisce nel contatto giornaliero con la Parola del Vangelo e nella frequenza Eucaristica....tutti i giorni,presto al mattino prima della scuola e del tribunale,partecipavamo alla s.MESSA..
Frequentavo nel frattempo le scuole medie a Feltre,dove erano presenti anche dei seminaristi...qundo il dr.Alessandro si trasferì,io pure lasciai Feltre e Belluno  e rientrato in famiglia ,chiesi di frequentare la terza media nel seminario di Udine(Castellerio)...un laico,non un prete,fu per me esmpio traente verso il sacerdozio;ovviamente la motivazione valoriale della distinzione in me inoculata da ragazzo è tuttora fondamentale...TUTTO PER LA FEDE...molto prudente con gli uomini,essendo prete,con quelli di chiesa.
   Certamente se un tale interiore atteggiamento mi porta a gustare la libertà e la salvezza ,che il Signore mi dona,per altro verso gli uomini di chiesa,tutti indistintamente,non accettano che in una istituzione gerarchica,vissuta in senso contrario a quanto il Signore voleva.."il primo tra voi sia il servo e l'ultimo di tutti..gerarchia di amore ..non di potere..,."si possa vivere il vangelo della libertà e della salvezza ,senza la passiva,insensata e negativa obbedienza materiale ai superiori gerarchici....e si paga con una sofferenza senza limiti ..fisica..psicologica...talvolta spirituale! Mi sono fermato a questo aspetto fondamentale della mia vita di sacerdote,perchè mi sono chiesto da dove..quando..in me si è radicato un tale fondamentale ed irrinuncibile valore,cui mai rinuncerò..dovessi purerinunciare alla istituzione...alla coscienza ed alla fede non posso rinunciare..all'obbedienza cadaverica di tipo gesuitico non mi presterò mai.Un Vescovo,nel mio percorso di prete,aveva in una lettera pastorale svolto questo importante tema...PARTECIPAZIONE CONDIVISIONE  GRATUITA'...Battisti Alfredo..egli per il vero dette grandi testimonianze in merito...però ,al suo ritiro,anche i tre grandi valori evangelici andarono in pensione...nella chiesa si esige la OBBEDIENZA...sopratutto quella irrazionale ed assurda..la stessa viene giustificata ..vero sacrilegio dissacrante,come volontà di Dio..(così il demonio del potere gerarchico miscia le carte del capriccio e della affermazione eaagitata di uonini celibi affettivamente frustrati,con l'amore egoistico a sè stessi)...
   Più innanzi voglio approfondire questo aspetto di separatezza e di strumentalità tra FEDE E RELIGIONE...oggi,sembra che lo scoglio frenante per l'adesione alla FEDE sia un contradetto rapporto fra FEDE E RAGIONE..E D I CONSEGUENZA il relativismo comportamentale..
   Nel seminario di Udine terminai la mia preoparazione culturale al sacerdozio ed il 29 giugno 1964 fui prete. Della mia vita in seminario avrei la possibilità di scrivere volumi ,più che di vissuto di ri riflessioni...molti altri amici e compagni hanno gia espresso i loro pensieri in merito in forme caustiche,ironiche e spregiative...non ritengo dover aggiungere nulla a quanto già scritto...salvo esprimere un concetto di fondo..IN SEMINARIO NON SONO STATO PREPARATO AD ESSERE UNA GUIDA NELLA FEDE,NELL'AMORE E AD APRIRMI ALLA SPERRANZA DEL REGNO DI DIO SPECIALIZZANDOMI NELLO STUDIO DELLA PAROLA DI DIO E NEL SAPERLA COGLIERA NEL MONDO...ma a conoscere la civiltà e la cultura classico-pagana..a dominare in modo sessuofobico la bellezza e la gioia del dono della vita..a come obbedire per piacere ai superiori,per porre le premesse della carriera gerarchica,per la quale serviva la laurea vaticana,la insensibilità del cuore ed una...lingua depilata per leccare con devozione e servilismo ..