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Che siano privi di fondamento giuridico lo dimostra la memoria qui riportata dell'Avv. Giacomo B.
Sul grave
errore giudiziario di cui è stato vittima Mons. Luigi Fabbro
a proposito
di ODA ente canonico (Opera Diocesana di Assistenza)
ODA era un ente meramente canonico mai riconosciuto quale persona
giuridica civile: difetto di giurisdizione statale
1.- Mons. Luigi Fabbro è stato condannato dal Tribunale
Penale di Udine, con sentenza datata 02.10.2014, confermata dalla Corte di
Appello di Trieste in data 06.04.2016, e dalla Corte di Cassazione in data 26.04.2017-12.05.2017
per condotte di appropriazione indebita, asseritamente poste in essere
nell’anno 2008-2010 e rilevate in “violazione dei fini di cui all’art. 2 dello
Statuto dell’ente ODA (Opera Diocesana di Assistenza)”, sul presupposto che
egli fosse “Presidente del comitato di garanzia dell’ente canonico ODA” (Cass.
pen. II Sezione, sentenza n. 23423 del 26.04.2017-12.05.2017.
Tuttavia:
ODA era tuttavia Fondazione
pia meramente canonica, mai iscritta nel registro delle persone giuridiche
civili. Difettava, dunque, con assoluta evidenza, la giurisdizione statale su
ODA (cfr. Statuto di ODA ente canonico).
La sentenza della Suprema Corte, all’eccezione specifica di
difetto di giurisdizione, ha fondato la propria giurisdizione e competenza riconoscendo
in ODA una fondazione civile di fatto,
dichiarando il seguente principio di diritto: “un ente canonico pubblico che non abbia mai chiesto, o ottenuto,
riconoscimento di persona giuridica civile, né il suo statuto sia mai stato
depositato presso il pubblico registro delle imprese, va ritenuto un ente di
fatto, e come tale soggetto alle regole del cod. civile”.
E’ stata ‘creata’ in Sentenza una Fondazione di fatto
2.- E’ anzitutto evidente la carenza di giurisdizione statale e addirittura la violazione
della giurisdizione esclusiva ecclesiastica ai sensi del Concordato (cfr. l.
121/85), ed ai sensi dell’art. 7 della Costituzione italiana.
Evidente, inoltre, che non possa esistere una “Fondazione
civile di fatto”, sul presupposto dell’esistenza di un ente meramente canonico.
Ognuno sa, difatti, che se può esistere un ente associativo di fatto, ben più complessa
è la realtà per le Fondazioni,
caratterizzate dalla necessità sia di un negozio
fondativo (per atto pubblico), sia di un negozio dotazionale (per atto pubblico per i beni immobili e mobili
registrati e per assegni circolari per il capitale iniziale), sia infine l’intuitus o finalizzazione al bene pubblico.
E’ un fatto che né il Codice di Diritto Canonico, né il
Codice Civile italiano, menzionino l’istituto della Fondazione di fatto.
Nel caso di specie, inoltre, trattandosi di enti
ecclesiastici, vige un regime giuridico caratterizzato da specialità, ed essi possono essere riconosciuti ed esistere
nell’ordinamento civile solo ed esclusivamente con il procedimento di
riconoscimento previsto dall’Accordo di Villa Madama, di cui alla Legge di
derivazione pattizia L. 222/85.
Ma anche ammesso – e non concesso – che possa esistere una
Fondazione di culto - ente ecclesiastico civilmente riconosciuto di fatto, nel caso di specie l’ente solo
canonico aveva di fatto cessato di
esistere un ventennio prima (1988) dei fatti di causa (2008-2010), così come
dimostreremo.
Nella questione sub
iudice, dunque, lo Stato ha chiaramente esuberato dalla sua giurisdizione
ed è incorso in macroscopici errori di diritto e di fatto.
3.- Inoltre, Mons. Luigi Fabbro risulta condannato da una
Sentenza dello Stato per condotte in violazione dello Statuto ODA (e dunque per
violazione del diritto proprio canonico in materia di amministrazione di beni ecclesiastici), ma l’Ordinario del luogo
mai gli ha contestato alcun reato eppure specificamente previsto dal Codice di
Diritto Canonico (cfr. can. 1377).
Se egli avesse veramente commesso reati nella amministrazione
dei beni ecclesiastici a lui affidati, l’autorità ecclesiastica lo avrebbe
dovuto condannare a seguito di un regolare processo penale canonico;
circostanza che non si è verificata per insussistenza di fatti delittuosi.
Sussiste dunque un ulteriore paradosso: Mons. Fabbro è stato
condannato da una sentenza Statale ma non canonica, per asseriti illeciti
commessi nell’esercizio di un ufficio solo canonico, in un ente solo canonico,
mai riconosciuto agli affetti civili.
Condanna per appropriazione indebita, senza mai aver verificato dai
bilanci che le somme appartenessero ad ODA e fossero iscritte a bilancio ODA
4.- Mons. Luigi Fabbro è stato condannato per asserita
appropriazione indebita di somme asseritamente di proprietà di ODA, senza che mai i bilanci di ODA, né annuali per gli
anni interessati dall’asserito commesso delitto, né di liquidazione finale,
siano stati esibiti o depositati in giudizio, per dimostrare che quelle somme
appartenessero effettivamente ad ODA ente canonico.
Tale realtà è inoppugnabile: mai in corso di istruttoria sono
stati depositati i bilanci di ODA, approvati dal Consiglio affari economici
diocesano, riferiti agli anni degli asseriti reati (2008, 2009, 2010). Mons. Luigi
Fabbro è stato pertanto condannato sul presupposto che alcune somme fossero di
proprietà di ODA, senza che ciò sia mai stato provato attraverso i bilanci ODA.
I reati per i quali è stato condannato il Rev. Fabbro in qualità di
Presidente ODA si riferiscono ad anni in cui ODA ente canonico era estinto ed
il Rev. Fabbro non era più Presidente ODA
5.- ODA ente diocesano fu estinto a partire dall’anno 1988. I
fatti per i quali Mons. Fabbro è stato condannato come “Presidente del comitato
di garanzia di ODA” si riferiscono agli anni 2008, 2009 e 2010. L’evidente ingiustizia della Sentenza di condanna è
incontrovertibile.
Inoltre nello Statuto ODA non esiste il “Comitato di garanzia”
di ODA ente canonico. L’organo di governo è stato completamente inventato dalle
sentenze statali.
Nel decreto dell’Ordinario diocesano datato 02.09.1987 con il
quale si mutava la natura giuridica dell’Ente canonico “Opera Diocesana
Assistenza” in Società cooperativa a
responsabilità limitata (ente meramente civile, che aveva
disecclesiasticizzato i beni di ODA), si chiarisce che la persona
giuridico-canonica ODA eretta il 10.11.1954 fosse persona giuridica collegata e funzionalmente dipendente dall’ente ecclesiastico
riconosciuto civilmente della Mensa
episcopale: “Visto l’art.28 della legge 20 maggio 1985, n. 222 che estingue
la Mensa Arcivescovile, Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, cui
giuridicamente e civilmente faceva capo
l’Opera Diocesana Assistenza...”.
La Mensa arcivescovile venne estinta in forza di disposto
della L. 222/85, la quale all’art. 28 stabiliva la contestualità tra l’erezione
dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero, e l’estinzione della
Mensa episcopale: “Con il decreto di erezione di ciascun Istituto sono
contestualmente estinti la mensa vescovile, i benefici ...”. Si tenga conto che
la legge citata non imponeva l’immediatezza delle devoluzioni dei beni, tanto
che il dettato normativo poneva il termine del 31 dicembre 1989 per
l’iscrizione degli Istituti sostentamento clero nel registro delle persone
giuridiche (cfr. art. 6, II c. l. 222/1985). E’ dunque congruente che
l’Ordinario diocesano abbia provveduto in data 02.09.1987.
Si ribadisca inoltre che ODA era collegata, quanto ad
indirizzo ed operatività, anche alla “Pontifica Opera di Assistenza”: ente
collocato in un preciso contesto storico, per finalità dunque esaurite, così da
causarne la soppressione da parte del Pontefice Paolo VI nel 1970 e la costituzione
della Caritas internazionale,
nazionale, ed anche diocesana in ogni Chiesa locale (1976 per Udine).
Dal citato decreto datato 02.09.1987 con il quale si muta la
natura giuridica di ODA si desume dunque: che l’art. 28 della L. 222/85 avesse
estinto la Mensa arcivescovile, che ODA fosse ente giuridicamente e civilmente
da questa dipendente, e che pertanto l’estinzione dell’ente sovraordinato
comportasse la necessità di integrale ridefinizione giuridica e di devoluzione
dei beni di quello sotto ordinato, che in quel contesto normativo e storico non
poteva continuare ad esistere neppure di
fatto.
6.- Il citato decreto episcopale del 02.09.1987 esprime la
volontà di mutare la veste giuridica
della preesistente persona giuridica meramente canonica ODA, in una integralmente nuova e separata, avente
configurazione meramente civile, di Società cooperativa a responsabilità
limitata (Scarl): “Ritenuto
conveniente e necessario dare all’Ente canonico Opera Diocesana Assistenza una
configurazione giuridica civile”.
Al proposito non potrebbe neppure possibile parlarsi di trasformazione, giacché ad ODA ente meramente canonico succedette ODA Soc.
coop. a r. l. (Scarl) ente meramente civile, e dunque un altro ente di un altro ordinamento giuridico.
Vengono conferiti tutti i beni, ed anche i fini e lo Statuto: “Considerato che le finalità dell’Opera Diocesana di
Assistenza e il relativo Statuto saranno completamente assunti dall’erigenda
Società Cooperativa a responsabilità limitata...” (decr. 02.09.1987). La
licenza al conferimento venne conseguentemente espressamente concessa con
decreto dell’Ordinario diocesano in data 16.3.1988 (cfr. doc. 3) nel quale si
dichiara l’assenso al “conferimento dei beni mobili ed autoveicolari di
proprietà del rappresentato Ente di Ordinamento Canonico alla Soc. Coop. a r.l.
O.D.A.”, ossia di tutti i beni di cui all’art. 5 dello Statuto.
7.- Occorre evidenziare che il conferimento di tutti i
beni (“completamente”), peraltro
accuratamente inventariati ed elencati possa essere sufficiente ad integrare
invero una sostanziale canonica devoluzione
totale dei beni di ODA. La devoluzione dei beni è fenomeno previsto
esplicitamente dal Diritto Canonico giusto nei casi di fusioni, divisioni,
soppressioni, estinzioni (can. 121, 122, 123) di persone giuridiche.
Nel caso specifico vi fu il conferimento di tutti (“completamente”) i beni della persona giuridica canonica
fondazionale di cui alla Relazione di stima, svuotando di fatto l’universitas rerum di ODA ente canonico, eliminandone
l’essenza costitutiva, impedendone il raggiungimento dei fini, e facendo sì che
il complesso patrimoniale non fosse più tale, passando ad un’altra persona
giuridica di altro ordinamento giuridico, con un “salto” di giurisdizione, che
comportava l’implicita soppressione di ODA-ente canonico.
Il Diritto Canonico, inoltre, informandosi fortemente alla logica
finalistica, collega l’esistenza
delle persone giuridiche all’esistenza dei fini
e dei mezzi. Ogni persona giuridica
canonica, difatti, ai sensi del can. 114, §3, deve necessariamente perseguire
un fine utile e possedere i mezzi sufficienti in ragione del fine
stesso, così che non è possibile costituire persone giuridiche che non
perseguano “un fine effettivamente utile e che, tutto considerato, sono forniti
dei mezzi che si possono prevedere sufficienti a conseguire il fine
prestabilito”.
Esiste, dunque, un positivo
provvedimento ab extrinseco dell’autorità
ecclesiastica di sottrazione dei beni e dei fini (e non già la mera assenza di
attività dell’ente), che permette di dedurre, dal punto di vista prettamente
canonistico, la suppressio ab extrinseco
implicita, che è istituto esplicitamente ammesso dalla dottrina (cfr. M. Coronata, Institutiones Iuris Canonici, vol. I, Taurini 1950, pp. 166-167, n.
140).
8.- Lo Statuto di ODA Scarl
non è mai stato approvato
dall’Ordinario diocesano (è stata al contrario approvata il passaggio dei beni di
ODA ente-canonico ad ODA Scarl, ed il
conferimento - “svuotamento” dei beni). L’Ordinario, pertanto,
sull’approvazione dello Statuto civile ha
rilasciato ogni competenza. Si evidenzia che in Diritto Canonico l’approvazione
degli Statuti da parte della competente autorità ecclesiastica eppure sia conditio sine qua non addirittura
dell’esistenza della persona giuridica canonica (cfr. can. 117).
Lo Statuto di ODA Scarl
(costituita in data 03.09.1987) non prevedendo alcun riferimento al regime
delle licenze canoniche per i beni, e addirittura esplicitamente prevedendo che
il Consiglio di amministrazione avesse potere deliberativo in merito agli “atti
e contratti di ordinaria e straordinaria amministrazione, nessuno escluso” (art. 22 Statuto ODA Scarl) evidenzia ancor più la loro natura non ecclesiastica, la loro indipendenza dall’autorità
ecclesiastica, e la loro finalizzazione e modalità di amministrazione del tutto
indipendenti rispetto a quanto previsto dallo Statuto di ODA ente meramente
canonico.
ODA - ente canonico, peraltro, non avrebbe potuto
sopravvivere in nessuna veste giuridica civile all’interno di altra persona
giuridica civile (partecipazione societaria) non essendo un ente personificato
per il diritto civile, né l’eventuale situazione creditoria avrebbe potuto
esser rivendicata da parte di un ente meramente canonico inesistente
nell’ordinamento giuridico statale.
Qualsiasi interpretazione contraria, pertanto, (che ODA
partecipasse in qualità di socio di ODA Scarl,
ovvero conferisse un finanziamento infruttifero), è incongruente con l’assenza
di personificazione civile e, segnatamente, non fu atto autorizzato da alcuna
specifica licenza canonica.
9.- Quanto agli uffici: lo Statuto di ODA - ente canonico prevedeva la durata quinquennale
dell’ufficio di Presidente. Mons. Luigi Fabbro venne nominato per la prima ed
ultima volta Presidente ODA dall’Arcivescovo Alfredo Battisti in data 01.06.1984,
cosicché in data 01.06.1989 l’ufficio divenne vacante. Né può invocarsi la prorogatio: nel caso di specie
l’autorità ecclesiastica mai più, dal
1984 ad oggi, ha provveduto alle nomine degli organi di ODA ente canonico, così
mostrando la convinzione della inoperatività per soppressione dell’ente
meramente canonico.
Mons. Fabbro, eppure, è stato
condannato per condotte commesse in
qualità di “Presidente del Comitato di garanzia di ODA”.
Quanto all’attività di ODA - ente
canonico se ne perdono del tutto le tracce per un periodo di ben ventitré anni:
dal 1988 (data di svuotamento dei beni e di mancato rinnovo degli uffici) al
2011 (data di formale soppressione di ODA da parte del Vescovo) non essendovi
più atti canonici che forniscano prova della sopravvivenza di ODA - ente
canonico. Il Tribunale civile, invece, ha sostenuto che ODA ente canonico
esistesse nell’ordinamento civile come “Fondazione di fatto” ancora negli anni 2008-2010, quando di fatto, tutto era cessato nel 1988.
10.- Se così non fosse, l’autorità
ecclesiastica avrebbe dovuto vigilare secondo
poteri espressamente riconosciuti dal can. 1276. L’Ordinario avrebbe parimenti potuto
sostituirsi nell’amministrazione del
beni, secondo poteri riconosciuti dal can. 1279, §1, nel caso dell’amministratore
asserito negligente, ed avrebbe dovuto nominare agli uffici di governo di ODA,
che invece dal 1984 mai più ebbero nomine, scadute nel 1989.
11.- Che l’Ordinario nel 1987
intendesse sostanzialmente “disecclesiasticizzare” i beni, conferirli ad una
persona giuridica (ODA Scarl) del
tutto autonoma da ODA - ente canonico, non soggetta né alla giurisdizione
canonica, né allo Statuto di ODA - ente canonico, né dunque alle licenze
canoniche, si evince anche da una lettera dell’Ecc.mo Arcivescovo Mons. Alfredo
Battisti, inviata a Mons. Fabbro in data 11. 6. 1997.
Dalla medesima anzitutto si deduce
che non vi fosse alcun problema di vigilanza e di negligente amministrazione,
attesa la ribadita fiducia, nonché la richiesta di recedere dalle dimissioni
dall’ufficio di consigliere del Seminario: “Questa lettera mi dà l’occasione
per confermarTi la stima e la gratitudine mia e della Chiesa udinese per
l’opera intelligente e appassionata con cui hai dato impulso alle Arti
Grafiche, per la indefessa attività prestata nell’EFA e nell’ODA e
nell’Istituto Sostentamento Clero da te iniziato e avviato in tutte le
operazioni di trasferimento dei beni beneficiali. Ti chiedo di soprassedere
alle Tue dimissioni di consigliere del seminario... RinnovandoTi i sentimenti
di fiducia e di affetto mi confermo...” (ibid.).
La lettera, inoltre, domandando di
eliminare dalla ragione sociale di ODA Scarl
l’acronimo “Opera Diocesana Assistenza” ribadisce la volontà originaria di
tenere separate le due persone
giuridiche (ODA-ente canonico ed ODA Scarl),
e la preoccupazione che la chiara separazione giuridica non fosse tuttavia
sufficientemente percepita ab extra,
così che ODA Scarl, nella sua
attività di amministrazione di beni immobiliari, potesse apparentemente
coinvolgere la chiesa particolare (la Diocesi), ovvero apparisse agire a nome
della Chiesa.
E’ invece detto che ODA Scarl debba agire in maggiore libertà per le distinte affermate
finalità della Soc. cooperativa: “La ragione che mi ha spinto a verificare la
possibilità di sostituire il titolo: ‘Opera Diocesana Assistenza’ con altro
nome, non è per disistima verso l’attività della cooperativa, ma per lasciare
maggiore libertà di gestione economica di un enorme complesso immobiliare che,
per sostenersi, deve ospitare attività certamente conformi a valori umani,
etici e civili, ma non sempre coincidenti con gli scopi che deve prefiggersi la
chiesa particolare” (ibid.).
12.- Il decreto dell’Ordinario datato
14.03.2011 di formale soppressione di
O.D.A. – ente canonico pare dunque giuridicamente ultroneo ed inutile, rispetto
ad un effetto già considerato pacificamente
raggiunto dall’autorità ecclesiastica a far data dal 1988. Il decreto di
formale soppressione del 2011, inoltre, ha indotto il macroscopico errore che
ODA ente canonico fosse ancora esistente ed operativa a quella data.
Nello stesso decreto del 14.03.2011
di asserito “scioglimento”, inoltre, si menziona, quale giusta causa, l’assenza
di finalità, di identità giuridica e di mezzi di ODA già a far data da un tempo
assai remoto: “ora, considerando che l’Opera Diocesana di Assistenza era il
braccio operativo della Pontificia Opera di Assistenza e che quest’ultima è
stata sciolta nel 1970 da S.S. Paolo VI...” (ibid.). Si ammette, dunque, che ODA fosse collegata con la Pontificia
Opera di Assistenza eretta nel 1953, e che le finalità storiche di queste
fossero venute meno, come di fatto sono storicamente ed obiettivamente venute
meno, nel 1970, con assenza, dunque, dei fini istituzionali di ODA ente
meramente canonico.
Inoltre: “...tenendo conto dei mutamenti
avvenuti nella disciplina canonica ed essendo mutate le condizioni per cui
l’Opera era stata istituita...” (ibid.).
In questo caso ci si riferisce alla promulgazione del nuovo Codice di Diritto
Canonico avvenuta nel 1983, ed all’accordo di modifica del Concordato del 1984.
Il decreto, dunque, rimanda a
soppressioni del 1970, alla promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico
del 1983 ed alla intervenuta novella concordataria di cui alle citate L. 121/85
e L. 222/85. Risulta dunque assolutamente non credibile una sopravvivenza
giuridica di ODA così posteriore alla soppressione della Pontificia Opera di
Assistenza (1970), all’estinzione della Mensa arcivescovile di Udine (1987), al
completo mutamento di ODA ente canonico in ODA Soc. coop. a r l. ricadente
sotto altra e diversa giurisdizione di diritto comune statuale (1987), al
conferimento di tutti i beni della
massa patrimoniale personificata (1988), all’assenza di vigilanza e/o
sostituzione nell’amministrazione e/o controllo del rendiconto, ed alla vacanza
di uffici così datata nel tempo (dal 1989).
A far data dal decreto di licenza di
conferimento beni del 16.03.1988 e dal successivo effettivo conferimento, non
risulta che alcun bene ecclesiastico
sia più appartenuto all’ente canonico ODA, alcun atto di amministrazione di
beni sia più stato posto in essere, alcuna partecipazione societaria sia più
stata rivendicata (ovvero, in successioni di persone giuridiche civili
succedute a ODA Scarl sia mai stata
rivendicata dall’autorità ecclesiastica), alcun conto corrente sia mai più
stato intestato ad ODA ente canonico, da cui non è dato comprendere quanto
disposto nel 2011, e neppure in che cosa sia consistita la liquidazione di
quell’anno che, è dato presumere, non abbia registrato da parte del eppure
nominato Liquidatore, alcuna attività. Ma anche quella documentazione (relativa
alla liquidazione del 2011) mai è stata esibita nel processo!
13.- In conclusione, in
ragione delle categorie giuridico-canoniche sopra esposte, è dunque possibile
dedurre che l’Ordinario diocesano, con decreto del 02.09.1987 di integrale
mutamento sia della natura giuridica, sia anche della giurisdizione inerente ad
O.D.A. ente meramente canonico mutato
in Soc. coop a r. l. ente meramente civile, e di
trasferimento a quest’ultima dei fini e statuto, abbia inteso tacitamente o
implicitamente sopprimere la persona giuridica canonica: “... positiva
revocatio sive implicite, sive explicite fieri potest, utraque vero sive ex
iuris praescripto sive ex formali decreto revocatorio. Explicita suppressio
habetur si expressis verbis concessa antea personalitatis auferatur et
denegetur; implicita si iura omnia personalitatis collegio vel fundationi auferantur
quin de ipsa personalitate sermo occurrat” (M. Coronata,
Institutiones Iuris Canonici,
vol. I, Taurini 1950, p. 166, 167, n. 140).
Con decreto 16.03.1988
l’Ordinario ha conseguentemente autorizzato il conferimento di tutti i beni di O.D.A. ente meramente
canonico ad ODA Soc. coop. a r. l. ente meramente civile, integralmente
svuotando l’ente canonico dell’universitas
rerum, e dunque dell’elemento ontologico ad substantiam, che permette di dedurne, secondo le categorie
canonistiche, la soppressione implicita o tacita.
Tale sostanziale devoluzione ha inoltre comportato che i beni
ecclesiastici appartenenti ad ODA ente meramente canonico, non fossero più da
questo rivendicabili (posizioni creditorie o altro) per totale assenza di personificazione
giuridica civile di ODA ente canonico, così sottraendosi alla diretta
giurisdizione canonica, e divenendo beni privati, sotto la giurisdizione
esclusiva statale.
Con la successiva assenza di nomine agli uffici a scadenza
quinquennale (scaduti nel 1989), l’assenza di attività, l’assenza di vigilanza,
l’assenza di atti posti in sostituzione dell’amministratore asserito
negligente, l’assenza di redazione e di controllo del bilancio con approvazione
dell’attività di ODA - ente canonico in Consiglio affari economici diocesano,
l’assenza di impugnazione degli atti di straordinaria amm.ne eventualmente
avvenuti senza licenza canonica, l’assenza di rivendicazione di posizioni
creditorie di ODA – ente canonico, e la richiesta che ODA Scarl mutasse nome onde non ingenerare falsa rappresentazione di
collegamento con la giurisdizione canonica, l’autorità ecclesiastica ha
ulteriormente palesato l’avvenuta soppressione tacita o implicita dell’ente e
dei connessi uffici divenuti non già vacanti ma inesistenti. L’assenza della
giurisdizione ecclesiastica su ODA Scarl,
e su qualsiasi persona giuridica meramente civile che ad ODA Scarl sia civilmente succeduta, è
evidente.
La realtà storica mutata già a far data dal 1976, e quella
normativa mutata nel 1983 e nel 1985 rendono la tesi esposta l’unica
ammissibile.
Ove non si volesse ammettere la soppressione implicita o
tacita di ODA ente meramente canonico, si evidenzia nondimeno che lo Statuto di
ODA Scarl (e di qualsiasi persona
giuridica civile ad essa succeduta) dimostri totale assenza di giurisdizione
canonica (nomine, potere deliberativo ecc.), assenza di amministrazione dei
beni ai sensi del Diritto Canonico, configurazione degli stessi quali beni non
ecclesiastici, assenza di controllo del bilancio, espressa previsione
statutaria di ogni e più ampia facoltà deliberativa in ordine
all’amministrazione da parte degli organi di ODA Scarl, ivi comprese “operazioni mobiliari ed immobiliari,
economiche e finanziarie, nonché l’adesione a consorzi” per il raggiungimento
degli scopi sociali della cooperativa, invero infungibili e del tutto sganciati
rispetto a quelli di ODA ente meramente canonico.
Qualsiasi atto di amministrazione disposto nell’ambito delle
attività di ODA Scarl (o persone
giuridiche civili ad essa succedute), pertanto, solo a questa è attribuibile,
senza alcun riferimento allo Statuto, alla persona giuridica canonica, alla
giurisdizione canonica, ed alle finalità di ODA ente meramente canonico, nel
cui ambito era ricompresa l’amministrazione di soli beni ecclesiastici, e la
cui amministrazione era strettamente normata dal Diritto Canonico.
Le condotte ascritte
al Rev. Luigi Fabbro, pertanto, riferite agli anni 2008, 2009,e 2010, che egli
avrebbe commesso in qualità di “Presidente del Comitato di garanzia” di ODA
ente canonico, pertanto, sono MATERIALMENTE IMPOSSIBILI.
Le somme per le quali il Rev. Fabbro è stato condannato furono oggetto di
donazione personale del Rev. Brianti al Rev. Fabbro, e di donazione successiva
da parte del Rev. Fabbro, a fondo perduto, a società che gestivano colonie ed
attività di turismo sociale
14.- In punto di morte, come è stato
testimoniato anche nel processo penale, Mons. Brianti, del clero di Udine,
Presidente di ODA ente canonico, per una serie di circostanze legate alla sua
vita personale, consegnò a Mons. Fabbro libretti al portatore intestati a
“Primavera 76” giacenti, alla morte di Mons. Brianti (24.04.1984) presso la
Banca Popolare Udinese, esprimendo la chiara volontà che Mons. Luigi Fabbro li
tenesse fuori dai beni di ODA, e li destinasse alle attività che il Sacerdote
avrebbe ritenuto, a sua discrezione, più opportune.
Dei libretti e del loro contenuto, non
si trova mai menzione nei bilanci di
ODA, già sotto la presidenza di Mons. Brianti, né menzione di tali libretti si
rinviene neppure nella successiva predetta Relazione
di stima, previa alla devoluzione totale dei beni di ODA e conferimento ad
ODA Soc. coop. a r. l. del 1988.
Né la intestazione “Primavera 76” (o
qualsivoglia altra possibile) dichiara in alcun modo la finalizzazione delle
somme a cause pie e dunque la
configurazione del lascito quale pia
volontà destinata specificamente ad
O.D.A.
Che le somme depositate non fossero
destinate ad ODA è significativamente evidenziato dalle ricostruibili
circostanze, ossia dal fatto che l’allora Presidente di ODA, Mons. Brianti,
tenendo distinto quel patrimonio (beni privati)
da quello ecclesiastico di ODA (beni ecclesiastici),
alla sua morte non solo non trasferì i libretti bancari all’Ordinario diocesano
quale esecutore nativo delle pie volontà (cfr. can. 1301), ma neppure li
trasferì fiduciariamente ad alcun consigliere ODA, né manifestò ad alcuno la
volontà che le somme andassero intese quali beni ecclesiastici appartenenti ad
ODA, ovvero che andassero consegnate da Mons. Fabbro all’Ordinario, ovvero che
questi le trasferisse ad ODA Non vi sono
dunque elementi per sostenere l’appartenenza dei libretti “Primavera 76” ad
ODA-ente canonico, e dunque la loro caratterizzazione quali beni ecclesiastici: si trattò di una
donazione privata di Mons. Brianti a
Mons. Fabbro.
15.- A Mons. Fabbro non può essere
inoltre riconosciuto il ruolo giuridico di fiduciario canonico, né di esecutore
canonico di pie volontà, né di esecutore testamentario, né di onerato di
legato, né di soggetto agente in qualità di Presidente pro tempore ODA giacché dagli atti trasmessi non è ricostruibile la
volontà di Mons. Brianti, salvo quella di consegnare i predetti beni privati e non ecclesiastici alla persona di Mons. Luigi Fabbro allorché
Mons. Fabbro non era Presidente di O.D.A.
(la nomina avvenne nel successivo 01.06.1984 e la morte di Mons. Brianti
avvenne il 24.04.1984).
16.- Né i beni sono mai divenuti beni ecclesiastici, neppure dopo il
trasferimento delle somme di cui ai libretti al portatore “Primavera 76” sul
conto corrente “Luigi Fabbro O.D.A.” presso la Banca Antoniana (cc. 11676: cfr.
doc n. 7) acceso in data 22.10.1992.
In tale anno (allorché Mons. Fabbro
non era più Presidente di ODA ente canonico), non essendo più possibile
mantenere libretti al portatore, al fine di non far confluire, nel caso di suo
decesso, tali somme nella sua successione ereditaria a favore dei propri
parenti, egli decise di usare l’acronimo “ODA” (ente, si è detto, estinto nel
1988) per distinguere quel denaro personale, affinché in caso di apertura della
propria successione potesse non
confondersi con il proprio patrimonio personale, e potesse andare ai ragazzi
delle colonie.
Evidente che l’aggiunta di un
acronimo (un tempo permessa) sul nome di un proprio conto corrente, non possa
costituire una donazione implicita a favore di nessuno. Quanto all’intestazione, si sarebbe difatti potuto
aggiungere qualsivoglia acronimo, sia di fantasia, sia non di fantasia, senza mutare giuridicamente la natura privata
e non ecclesiastica del bene. Indubbiamente
quell’aggiunta, con il senno di poi, è stata improvvida, ed ha ingenerato
l’errore della Magistratura, ma occorre evidenziare l’ingenuità dell’errore: se
Mons. Fabbro avesse aggiunto l’acronimo FIAT sul nome del conto, i suoi
risparmi sarebbero divenuti parte del patrimonio della FIAT?
Quanto al soggetto legittimato ad
operare sul conto corrente, è sempre risultata la sola persona fisica Luigi
Fabbro, senza alcuna limitazione o firma congiunta, che tradizionalmente viene
inserita per gli enti ecclesiastici in riferimento alle Licenze canoniche per
gli atti di straordinaria amministrazione.
L’ufficio di Presidente di ODA-ente
canonico, per Mons. Luigi Fabbro, si è già detto essere peraltro scaduto in
data 01.06.1989, mentre il c.c. fu acceso nel 1992. E la donazione da parte di
Mons. Brianti a favore di Mons. Fabbro avvenne nel 1984 allorché il Fabbro non
era ancora Presidente ODA. L’acronimo ODA fu pertanto inserito solo da Mons.
Fabbro nel 1992, su un conto personale, in un anno nel quale egli non rivestiva
neppure più alcun ufficio in ODA.
L’accensione di quel conto corrente
mai fu autorizzata e disposta da alcuna autorità ecclesiastica, come sarebbe
stato, prevedendo il sistema delle firme congiunte, per qualsiasi ente
ecclesiastico.
L’accensione nel 1992 di un conto
corrente, ancorché intestato a Mons. Fabbro con acronimo ODA ente canonico, non
ha mutato di per sé la natura di quei beni, che non divennero ecclesiastici e dunque non di pertinenza
di una persona giuridica pubblica di
diritto canonico.
L’amministrazione delle predette
somme, in tutti i successivi trasferimenti ed atti dispositivi, pertanto, va
considerata sottratta alla giurisdizione canonica, allo Statuto ed alle
conseguenti Licenze ecclesiastiche nell’ambito della persona giuridica pubblica
canonica ODA – ente canonico ed al suo Statuto.
17.- Le somme furono conferite da
Mons. Fabbro nel 2001 a FINGEFA spa: Società partecipata, tra le altre, da Efa,
e Getur. FINGEFA era dunque società controllata da enti amministrati o comunque
controllati dall’autorità ecclesiastica, nell’ambito della gestione di colonie,
immobili, attività sociali, fino anche alle colonie per ragazzi svantaggiati in
montagna a Piani di Luzza (soc. TUGLIA sci).
Mons. Fabbro, per salvare la Società
decotta, rinunciò a quel finanziamento personale perché potesse essere espunto
dal bilancio quale debito, e nel 2010 conferì fondi a TUGLIA sci.
Tuttavia, dell’atteggiamento mutato
da parte dell’autorità ecclesiastica nei confronti di questi enti se ne trova
menzione nella sentenza di appello: “…gerarchia ecclesiastica che di lì a poco
avrebbe manifestato attraverso gli avvocati di EFA sfavore nei confronti delle
società decotte e volontà di abbandonarle alle loro sorti” (Corte di Appello di
Trieste, sent. r.g. app. 458/15, del 06.04.2016, p. 2).
18.- In conclusione, le somme originariamente depositate su Libretti al
portatore sotto la denominazione “Primavera 76” e poi depositate su un conto
corrente bancario acceso nel 1992 non sono mai appartenute ad ODA ente
canonico, né esse hanno mai assunto la qualifica giuridica di bene ecclesiastico. Tali somme non sono
dunque mai state subordinate alla giurisdizione canonica nell’ambito di detto
ente, né hanno avuto finalizzazione conforme a quanto stabilito negli Statuti
di O.D.A – ente canonico approvati il 10.11.1954 e riformati il 19.06.1984:
erano somme private di Mons. Luigi
Fabbro, donategli da Mons. Brianti.
Egli solo nel 2001 decise di usare
quel denaro personale, che aveva sempre tenuto distinto dal proprio patrimonio,
per salvare Società che si occupavano delle colonie dei ragazzi e del turismo
sociale. Il Rev. Luigi Fabbro, nel disporre di esse nel 2001, ha lodevolmente
disposto di beni privati, spogliandosene, e non ha agito (tra il 2008 ed il
2010) in violazione dello Statuto di ODA ente canonico, già estinto nel 1988.
Se egli avesse tenuto per sé il denaro
donatogli da Mons. Brianti, e dunque avesse voluto veramente
“appropriarsene”, non lo avrebbe prima
conferito come finanziamento infruttifero, e poi “regalato” a Società che
gestivano colonie di ragazzi e turismo sociale.
Il paradosso è pertanto evidente: se Mons.
Fabbro avesse tenuto per sé quel denaro, mai nessuno se ne sarebbe accorto. Al
contrario, decidendo di donarlo per fini ed interessi non propri, ha
paradossalmente fatto sì che si ingenerasse un macroscopico errore giudiziario
che, per quanto evidente, non è stato compreso a motivo della specificità
dell’intersecarsi della giurisdizione canonica e civile in materia di enti
ecclesiastici.
Resta un solo obiettivo fatto: Mons. Luigi Fabbro non si è mai appropriato di
alcuna somma.